“Ma’ l bel Iulio ch’a a noi stato ribello,
E sol di Delia ha seguito el trionfo,
Or drieto all’orme del suo buon fratello,
Vin catenato innanzi al mio trionfo;
Né mosterrò già mai pietate ad ello
Finché ne porterà nuovo trionfo:
Ch’i’ gli ho nel cor diritta una saetta
Dagli occhi della bella Simonetta”
              (Libro II del “Stanze per la Giostra di Giuliano de’ Medici” del Poliziano)

Il volto di questa bellissima donna appare oggi in molti dipinti rinascimentali,che siano veri ritratti o trasfigurazioni non è dato sapere,il suo volto ormai è eterno.

SIMONETTA VESPUCCI – La musa eterna

Simonetta Vespucci è nata a Cattaneo, chiamata  anche la Sans Par per la sua straordinaria bellezza (Genova o Porto Venere, 28 gennaio (?) 1453 – Firenze, 26 aprile 1476), fu una nobildonna italiana, tra le più note e  belle del Rinascimento italiano. Ritenuta come donna di elevata bellezza e fascino, venne amata profondamente da Giuliano de’ Medici (il fratello minore di Lorenzo il Magnifico), e da Sandro Botticelli, che ne fece la sua eterna Musa.

Il suo bellissimo corpo sarà immortalato nelle vesti della dea Venere nella Nascita di Venere oppure nell’allegoria della primavera nella Primavera. Fu musa ispiratrice anche per numerosi altri artisti, tra i quali si distinse Piero di Cosimo, che dipinse il Ritratto di Simonetta Vespucci, nel quale è raffigurata come la regina Cleopatra, con un aspide che le cinge il collo.

 VITA

Nel lontano aprile del 1469, all’età di sedici anni, andò sposa al giovane sposo Marco Vespucci, nella chiesa gentilizia di San Torpete, assistita dal Doge di Genova e da tutta l’aristocrazia cittadina.

Si ritiene che Simonetta accompagnò da bambina i genitori in esilio nella villa che la famiglia Cattaneo possedeva a Fezzano di Portovenere. Durante il periodo di esilio, i Cattaneo furono ospitati dagli Appiani a Piombino dove Piero Vespucci, padre di Marco, era spesso ospite per ragioni di affari. A Piombino venne concordato il matrimonio tra Simonetta e Marco.

Il giovane sposo era da poco stato inviato dal padre Piero a Genova per studiare i sapienti ordinamenti del Banco di San Giorgio, di cui era procuratore appunto Gaspare Cattaneo, che nel 1464 era stato testimonio della dedizione di Genova a Francesco Sforza, duca di Milano. Marco Vespucci, accolto dai Cattaneo, si era innamorato perdutamente della bella Simonetta e il matrimonio era stato una logica conseguenza visto l’interesse dei Cattaneo a legarsi con una potente famiglia di banchieri fiorentini, intimi dei Medici. La recente caduta di Costantinopoli e la perdita delle colonie orientali aveva infatti particolarmente colpito economicamente e moralmente la famiglia Cattaneo.

FIRENZE

Dopo il grande matrimonio, la giovane coppia di sposi si trasferì a Firenze, città dei Vespucci. Il loro arrivo coincise con l’assunzione di Lorenzo il Magnifico a capo della Repubblica di Firenze. I due fratelli Lorenzo e Giuliano accolsero gli sposi nel palazzo Medici di via Larga e in loro onore organizzarono una sontuosa festa nella villa di Careggi. Si susseguirono brevi anni di feste e ricevimenti in una vita sontuosa di cui la corte medicea era il centro.

L’apice si raggiunse con il “Torneo di Giuliano”, un torneo cavalleresco svoltosi in piazza Santa Croce nel 1475. Qui Giuliano de’ Medici, secondo quanto immortalato dal poemetto Stanze per la giostra di Agnolo Poliziano, vi vinse un ritratto messo in lizza di Simonetta dipinto dal Botticelli, sul quale era riportata l’iscrizione La Sans Par (“La senza paragoni”), sottolineando ancora una volta la sua incredibile bellezza, alla quale nessuna donna mortale poteva esservi paragonata. Simonetta fu la trionfatrice e venne proclamata “regina del torneo”. La sua straordinaria bellezza e la sua grazia avevano ormai conquistato tutti a Firenze, in primis Giuliano. Il Pulci le dedicò alcuni leziosi sonetti e anche il Magnifico la celebrò nelle sue Selve d’Amore.

Quest’episodio venne ripreso da Agnolo Poliziano (1454-1494) per tracciare la trama della sua “Stanze per la Giostra di Giuliano de’ Medici”, poemetto volto a celebrare la vittoria di Giuliano e in particolare per omaggiare la famiglia Medici.
Qui, Iulio (personificazione di Giuliano),uomo dedito solo alla caccia,insensibile all’amore, grazie ai dardi scagliati da Cupido per vendetta, lo fanno innamorare di una bellissima ninfa (Simonetta)e per conquistarla definitivamente deve mostrare le sua abilità nel vincere una giostra,per ordine di Venere.
La figura di Simonetta “viene imparentata con la donna dello Stil Novo ma pure distante da essa per l’umanità”.
Il poema rimase incompiuto per la morte prematura di Giuliano.

Ma sarà la pittura a lasciarci numerose e splendide testimonianze di questa fanciulla che viene ancora considerata la più bella donna del Rinascimento. Di lei vi è un ritratto del Botticelli alla Galleria Palatina e un altro di Piero di Cosimo al Museo Condé di Chantilly.

MORTE

Solo un anno dopo, il 26 aprile 1476, la bellissima Simonetta moriva di tisi (o peste), all’età di ventitré anni. Il corteo funebre, con la bara scoperta, portata a spalle per le vie di Firenze, richiamò tanto pubblico quanto il torneo di qualche mese prima.Si narra che molti uomini s’innamorarono di lei, solo vedendone le spoglie.  Per la sua triste scomparsa Lorenzo il Magnifico scrisse il sonetto che inizia con

“O chiara stella che co’ raggi tuoi…”, dove la immagina salita in cielo ad arricchire il firmamento.

Ma soprattutto parlano della sua bellezza i celebri quadri di Sandro Botticelli, del quale tutta l’opera fu ispirata da Simonetta anche dopo la morte: la Nascita di Venere, la Primavera e il Sogno di Giuliano, che il Poliziano aveva suggerito all’artista. Alla sua morte egli lasciò scritto di essere sepolto ai suoi piedi; la tomba del pittore, infatti, si trova nella Chiesa di Ognissanti, patronata dalla famiglia Vespucci, accanto alla sua amata Simonetta.

Quando ammiriamo i magnifici quadri di Sandro Botticelli possiamo sentire la forte energia che trapela dal suo operato. Bellezza, mistero, tecnica e sogno sono la magica arte di Botticelli detto: il pittore della grazia.

Sandro Botticelli (Sandro Filipepi), nacque a Firenze nel 1445 e fu uno dei più grandi artisti del Rinascimento. La sua formazione avvenne nella bottega di Filippo Lippi e i suoi mecenati più importanti furono i Medici. La sua fama varcò i confini di Firenze, quando nel 1481 venne chiamato a Roma da Papa Sisto IV per collaborare alla decorazione della Cappella Sistina.

DIZIONARIO BIOGRAFICO TRECCANI

CATTANEO, Simonetta. – Nata a Genova nell’anno 1453 da Gaspare e da Cattocchia di Marco Spinola, fu maritata giovanissima, intorno all’agosto del 1468, per la mediazione del signore di Piombino lacopo (III) Appiani, imparentato alla madre, al coetaneo Marco Vespucci di Firenze, e in questa città visse sino al 26 apr. 1475, quando morì di tisi.

Fu una morte universalmente rimpianta, attesta il Magnifico Lorenzo nel suo Comento sopra alcuni de’ suoi sonetti. In verità, poesia e arte impressero alla presenza della C. in Firenze un’aura di amorosi vagheggiamenti, come testimonia l’idealizzante rievocazione del Comento del Magnifico, che ricostruisce la sua immagine sulla falsariga della descrizione dantesca di Beatrice nella Vita nova.

Il Poliziano diede eternità e rilievo antonomastico all’amore di Giuliano de’ Medici per la giovane sposa del Vespucci, che rappresentò miticamente nelle figure dei protagonisti delle Stanze, Iulo e Sinionetta appunto. La ninfa di straordinario fascino, che Iulo contempla estasiato e subitamente innamorato, si lascia agevolmente riconoscere per la Simonetta genovese. Dopo la sua prima epifania, tutta immessa in una festa di armoniosa e incantata bellezza che attua una primaverile ed edenica rispondenza tra condizione esterna e interiore della donna e mondo naturale, Simonetta è nuovamente ricordata nel secondo libro dell’opera, nel sogno di Iulo, in cui è adombrata la morte della giovane. Ma due anni dopo di lei moriva anche Giuliano, e il Poliziano rinunciò a proseguire la composizione delle Stanze. La morte di Simonetta fu pianta dal Poliziano in quattro epitaffi in latino (LXXV, LXXVI, LXXVII, LXXVIII dell’ediz. di A. Poliziano, Prose volgari inedite e Poesie latine e greche edite ed inedite, a cura di I. Del Lungo, Firenze 1867); da Bernardo Pulci, nell’elegia De obitu divae Simonettae e nel sonetto La diva Simonetta a Julian de Medici; da Piero Dovizi da Bibbiena nell’elegia Heulogium in Simonettam puellam formosissimam morientem…; da Naldo Naldi in due epigrammi latini; da Girolamo Benivieni in due sonetti; da Francesco Nursio veronese nel Carmen austerum in funere Simonettae… . La sua morte ispirò a Lorenzo i quattro sonetti, che saranno poi i primi del Comento: anche il Magnifico era stato in qualche modo preso dal fascino di Simonetta. Negli ultimi giorni della malattia aveva inviato il proprio medico in casa Vespucci e, mentre si trovava a Pisa veniva informato del suo stato di salute da lettere del suocero di lei e dal suo agente Sforza Bettini, che, scrivendo per annunciargliene la morte, fu il primo inventore di un’analogia con la Laura petrarchesca (che Lorenzo riprese nel suo Comento): “puossi ben dire che sia stato il secondo Trionpho della morte, che veramente havendola voi vista così morta come la era, non vi saria parsa manco bella e vezzosa che si fusse in vita…” (cfr. Neri, p. 137).

Neanche la pittura ignorò la Cattaneo. Secondo una notizia del Vasari nella Vita del Botticelli, ella sarebbe stata ritratta da questo e si disputa se tal ritratto sia quello della Galleria Pitti o quello degli Staatl. Museen di Berlino-Dahlem o sia da riconoscere in qualcuna delle figure della famosa Primavera o nel Venere e Marte della Nat. Gall. di Londra o nell’Ignota dello Städelsches Kunstinstitut di Francoforte. Un ritratto di donna cui è sottosegnato il nome “Simonetta Ianuensis Vespuccia”, attribuito a Piero di Cosimo, si conserva in Francia nel Musée Condé di Chantilly.

Bibl.: Lorenzo de’ Medici, Poesie, a cura di G. Carducci, Firenze 1859, p. XVI; A. Neri, La Simonetta, in Giorn. stor. d. lett. ital., III (1885), pp. 131-47; P. Bologna, S. C., in Saggio di ricordi di donne fiorentine, Firenze 1896, pp. 21-24; A. Simioni, Donne ed amori medicei. La Simonetta, in Nuova Antol., 16 giugno 1908, pp. 684-95; I. Del Lungo, La donna fiorentina del buon tempo antico, Prato 1926, pp. 187-90; I. Maier, Ange Politien. La formation dun poète humaniste, Genève 1966, passim.

LA PRIMAVERA

La Primavera è un dipinto a tempera su tavola (203×314 cm) di Sandro Botticelli, databile intorno al 1482 circa. Realizzata per la villa medicea di Castello ed eseguita per Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici (1463-1503), cugino di secondo grado del Magnifico. L’opera d’arte è conservata nella Galleria degli Uffizi a Firenze.

Si tratta del capolavoro dell’artista Sandro Botticelli, nonché considerata una delle opere più famose del Rinascimento italiano. Vanto della Galleria, faceva forse anticamente pendant con l’altrettanto celebre Nascita di Venere, con cui condivide la provenienza storica, il formato e alcuni riferimenti filosofici. Il suo straordinario fascino che tuttora esercita sul pubblico è legato anche all’aura di mistero che circonda l’opera, il cui significato più profondo non è ancora stato completamente svelato.

INVENTARI DI FAMIGLIA MEDICI

Gli inventari di famiglia hanno svelato la collocazione originaria: dal Palazzo di via Larga, dove rimase prima di essere trasferita nella Villa di Castello, dove il Vasari riferisce di averla vista nel 1550, accanto alla Nascita di Venere. Il titolo con cui è universalmente conosciuto il dipinto deriva proprio dall’annotazione del Vasari

<<Venere che le Grazie fioriscono, dinotando Primavera>>

dalla quale derivano anche le linee cardine su cui si sono mossi tutti i tentativi di interpretazione.

Nel 1815 si trovava nel Guardaroba mediceo e nel 1853 venne trasferita alla Galleria dell’Accademia per lo studio dei giovani artisti che frequentavano la scuola; con il riordino delle collezioni fiorentine venne trasferita agli Uffizi solo nel 1919.

Se nella critica non vi è alcun dubbio circa l’autografia di Botticelli, piuttosto discordi sono le ipotesi sulla datazione. Gli estremi sono quelli della collaborazione presso i Medici, dal 1477 al 1490, con la sospensione del viaggio a Roma, per affrescare tre episodi biblici nella Cappella Sistina, degli anni 1480-1482. Lightbrown ipotizzò una datazione immediatamente successiva al rientro dalla Città eterna, nel 1482, coincidendo con le nozze del committente Lorenzo il Popolano con Semiramide Appiani: l’allegoria di Venere, rappresentata al centro del dipinto, sarebbe anche legata a un oroscopo di Lorenzo, come risulta da una lettera di Marsilio Ficino a lui indirizzata, in cui il filosofo lo esortava a ispirare il proprio agire alla configurazione astrale che ne dominava il tema natale, cioè proprio Venere e Mercurio.

PRIMAVERA

Pochi anni dopo la sua esecuzione, la Primavera era collocata in un palazzo fiorentino di Lorenzo de’ Medici, dove ornava un letto. Il quadro, contrariamente dal solito, va letto da destra verso sinistra. Le figure poste davanti ad un boschetto ombroso, sono allineate in un praticello cosparso di fiori, a imitazione degli arazzi fiamminghi, all’epoca largamente diffusi come arredo nelle case aristocratiche fiorentine. Risulta difficile dare un nome ai numerosissimi fiori nel dipinto, perché in molti casi ai fiori non corrisponde il fogliame delle piante dalle quali nascono, spicca però l’inconfondibile Iris. L’opera inizia con Zefiro, vento primaverile, che insegue la ninfa Clori dalla cui bocca escono fiori di ogni specie, essa fecondata dalla stesso Zefiro si trasforma in Flora, dea della Primavera e dei fiori, che pur non essendo il personaggio principale da il nome al quadro.

La figura al centro è Venere, davanti ad un cespuglio di mirto (pianta a lei sacra) atteggiata in un gesto tra il saluto e la casta ritrosia, stende la mano verso le tre Grazie. Sopra di lei, il figlio Cupido, dio dell’amore che bendato sta per scoccare una freccia infuocata. Sulla sinistra le tre Grazie danzano una carola; antico ballo eseguito da più persone in cerchio.

ANALISI DELL’OPERA PRIMAVERA DI BOTTICELLI

Nella mitologia greca, le tre grazie, erano figlie di Zeus e Eurinome. Esiodo ne indica tre: Talia la prosperità, Eufrosine la gioia, Aglaia lo splendore. Personificavano la gioia e il benessere dati dalla natura, nonché l’amore e la bellezza e tutto ciò che dà la felicità. Queste figure hanno ispirato molti artisti, tra i quali i pittori Raffaello, Correggio, Tintoretto e Rubens. Nella letteratura, Ugo Foscolo, con il suo poema Le Grazie. A sinistra Mercurio disperde le nuvole alzando il caduceo, un bastone di lauro o d’olivo sormontato da due ali e intrecciato con due serpi. Le nove figure dipinte sullo sfondo di un boschetto di aranci compiono, isolatamente o in gruppo, la propria azione, indifferenti a quanto stanno facendo i personaggi intorno. Zefiro, ad esempio, sta per assalire Flora, mentre la Primavera avanza spargendo fiori senza nemmeno voltare la testa e Mercurio che, assorto e calmo, allontana le nubi. Nessuno dei soggetti guarda direttamente l’osservatore, infatti hanno lo sguardo perso in un punto non definito, ad eccezione di Flora che sembra invece scrutare direttamente chi osserva il dipinto.

LETTURA LEGATA AL COMMITTENTE

Una prima serie di interpretazioni lega i personaggi mitologici del dipinto a individui fiorentini dell’epoca, come in una mascherata carnevalesca, e alla loro celebrazione tramite rappresentazioni simboliche delle loro virtù.

Partendo dall’inventario mediceo del 1498, Mirella Levi D’Ancona ha ipotizzato che il dipinto possa essere l’allegoria del matrimonio tra Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici e Semiramide Appiani; Botticelli lo avrebbe oltretutto eseguito in due momenti successivi, perché l’opera era stata inizialmente commissionata da Giuliano de’ Medici in occasione della nascita del figlio Giulio (futuro papa Clemente VII), avuto con Fioretta Gorini che egli avrebbe sposato in gran segreto nel 1478.

Ma come è noto Giuliano morì nella congiura dei Pazzi ordita contro il fratello in quello stesso anno, un mese prima della nascita del figlio, per cui il quadro incompiuto venne “riciclato” dal cugino qualche tempo dopo per celebrare le sue nozze, inserendovi il suo ritratto e quello della moglie, che si diceva essere donna dall’estrema bellezza. Il gruppo di destra rappresenterebbe l’istintualità e la passionalità notoriamente condannate dal neoplatonismo perché portatrici di atteggiamenti irrazionali.

Secondo questa interpretazione i personaggi raffigurerebbero:

  • Venere = Fioretta Gorini (prima versione), poi l’Amore Universale
  • Mercurio = Lorenzo di Pierfrancesco
  • Tre Grazie = Amore humanus (la Grazia al centro ha le sembianze di Semiramide Appiani), cioè spirituale, puro, elevato, secondo i principi dell’umanesimo platonico
  • Zefiro-Cloris-Flora = Amore Ferinus (carnale)

I fiori presenti nella scena alluderebbero a vari significati matrimoniali: fiordalisi, margherite e nontiscordardimé alludono alla donna amata, i fiori d’arancio sugli alberi sono ancora oggi un simbolo di felicità matrimoniale, così come la borrana che si vede sul prato.

In base ad altri ritratti dipinti da Botticelli o da altri artisti della sua cerchia, nei vari protagonisti della rappresentazione sono stai individuati vari personaggi di casa Medici. Trattandosi però spesso di opere altamente idealizzate, si tratta per lo più di semplici ipotesi, più o meno suggestive.

In particolare nelle tre Grazie sono state riconosciute Caterina Sforza (a destra), confrontando con la Santa Caterina d’Alessandria (sempre di profilo) nel Lindenau-Museum di Altenburg, e Simonetta Vespucci (al centro), la fonte di ispirazione per la Nascita di Venere, che guarda sognante verso Mercurio-Giuliano de’ Medici.

LETTURA STORICA

Secondo Horst Bredekamp, che data la tavola a non prima del 1485, oltre alle evidenti implicazioni filosofiche, si dovrebbe considerare il dipinto come allegoria dell’età medicea, intesa come età dell’oro, ma sotto la guida di Lorenzo di Pierfrancesco e non del Magnifico, confermandone così la committenza. La presenza di Flora sarebbe pertanto un’allusione a Florentia e dunque alle antiche origini della città.

Si tratta di un’interpretazione che tiene notevolmente conto di numerose implicazioni di carattere storico e politico dell’epoca e che riprende la generale tendenza degli ultimi decenni a “smitizzare” la figura del Magnifico in favore del ramo cadetto della famiglia, cui verrebbe attribuita un’importanza forse per molto tempo rimasta sconosciuta ma non ancora pienamente verificata.

Le altre figure sarebbero città legate in vario modo a Firenze: Mercurio-Milano, Cupido (Amor)-Roma, le Tre Grazie come Pisa, Napoli e Genova, la ninfa Maya come Mantova, Venere come Venezia e Borea come Bolzano.

LETTURA FILOSOFICA

Nella Primavera di Sandro Botticelli il mito venne scelto per rispecchiare verità morali, adottando un tema antico, quindi universale, ad un linguaggio del tutto moderno.

Il primo critico a mettere il dipinto direttamente in relazione con la cerchia di filosofici neoplatonici frequentata da Botticelli fu Aby Warburg nel 1893, che lesse la Primavera come la trasposizione di un distico di Agnolo Poliziano, ricco di citazioni letterarie antiche. Sarebbe quindi la rappresentazione di Venere dopo la nascita (raffigurata nell’altro celebre dipinto della serie), durante l’arrivo nel suo regno.

Ernst Gombrich, nel 1945, e, dopo di lui, negli anni cinquanta Wind e negli anni sessanta Panofsky, lessero la Primavera addirittura come il manifesto del sodalizio filosofico ed artistico dell’Accademia di Careggi. Vi si narrerebbe come l’amore, nei suoi diversi gradi, arrivi a staccare l’uomo dal mondo terreno per volgerlo a quello spirituale.

La scena si svolgerebbe nel giardino sacro di Venere, che la mitologia colloca nell’isola di Cipro, come rivelano gli attributi tipici della dea sullo sfondo (per es. il cespuglio di mirto alle sue spalle) e la presenza di Cupido e Mercurio a sinistra in funzione di guardiano del bosco, che infatti tiene in mano un caduceo per scacciare le nubi della pioggia (anche se egli viene insolitamente raffigurato in una posizione che lo rende estraneo al resto della scena). Le Tre Grazie rappresentavano tradizionalmente le liberalità, ma la parte più interessante del dipinto è quella costituita dal gruppo di personaggi sulla destra, con Zefiro, la ninfa Cloris e la dea Flora, divinità della fioritura e della giovinezza, protettrice della fertilità. Zefiro e Clori rappresenterebbero la forza dell’amore sensuale e irrazionale, che però è fonte di vita (Flora) e, tramite la mediazione di Venere ed Eros, si trasforma in qualcosa di più perfetto (le Grazie), per poi spiccare il volo verso le sfere celesti guidato da Mercurio.

Oltre alle teorie di Marsilio Ficino e la poetica del Poliziano, Botticelli s’ispirò anche alla letteratura classica (Ovidio e Lucrezio), soprattutto per quanto riguarda la metamorfosi di Cloris in Flora; tuttavia, il centro focale della composizione è Venere, che secondo l’ideologia neoplatonica sarebbe la rappresentazione figurata del suo mondo secondo il seguente schema:

  • Venere = Humanitas, ovvero le attività spirituali dell’uomo
  • Tre Grazie = fase operativa dell‘Humanitas’
  • Mercurio = la Ragione, che guida le azioni dell’uomo allontanando le nubi della passione e dell’intemperanza
  • Zefiro-Cloris-Flora = la Primavera, simbolo della natura non tanto intesa come stagione dell’anno quanto forza universale ciclica e dal potere rigenerativo.

Per Erwin Panofsky ed altri storici dell’arte, e non solo, la Venere della Primavera sarebbe la Venere celeste, vestita, simbolo dell’amore spirituale che spinge l’uomo verso l’ascesi mistica, mentre la Nascita raffigurerebbe la Venere terrena, nuda, simbolo dell’istintualità e della passione che ricacciano gli individui verso il basso.

Numerose sono le proposte di lettura per le Grazie. Il loro movimento di alzare e abbassare le braccia ricorda filosoficamente il principio base dell’amore (da Seneca), la Liberalità, in cui ciò che si dà viene restituito. Esse possono rappresentare anche tre aspetti dell’amore, descritti da Marsilio Ficino: da sinistra, la Voluttà (Voluptas), dalla capigliatura ribelle, la Castità (Castitas), dallo sguardo malinconico e dall’atteggiamento introverso, e la Bellezza (Pulchritudo), con al collo una collana che sostiene un’elegante prezioso pendente e dal velo sottile che le copre i capelli, verso la quale sembra stare per scoccare la freccia Cupido. Secondo Esiodo le tre fanciulle divine sono invece Aglaia, lo Splendore, Eufrosine, la Gioia e Talia, la Prosperità.Latinizzate divennero Viriditas, Splendor e Laetitia Uberrima ovvero l’Adolescenza, lo Splendore e la Gioia Piena, o Letizia Fecondissima (Marsilio Ficino nel “de amore”).

Claudia Villa (italianista contemporanea) è portata a considerare che i fiori, secondo una tradizione che ha origine in Duns Scoto, costituiscono l’ornamento del discorso e identifica il personaggio centrale nella Filologia, per cui riferisce la scena alle Nozze di Mercurio e Filologia rovesciando anche le identità dei personaggi che stanno alla nostra destra. Così la figura dalla veste fiorita è da vedersi come la Retorica, la figura che sembra entrare impetuosamente nella scena come Flora generatrice di poesia e di bel dire, mentre il personaggio alato, che sembra sospingere più che attrarre a sé la fanciulla, sarebbe un genio ispiratore.

In tale contesto interpretativo diventa difficile giustificare i colori freddi con cui è rappresentato il personaggio, a meno che l’autore non volesse affidare a questa scelta la smaterializzazione e il carattere spirituale dell’ispirazione poetica. Può risultare invece più comprensibile il disinteresse alla scena che sembra mostrare Mercurio, dio dei Mercanti.

NASCITA DI VENERE

La Nascita di Venere è da sempre considerata l’idea perfetta di bellezza femminile nell’arte, così come il David è considerato il canone di bellezza maschile. La Nascita di Venere è in genere considerata opera anteriore alla Primavera.

DESCRIZIONE

La fonte del mito fu quasi sicuramente una delle Stanze del Poliziano, a sua volta ispirata a Ovidio, alla Genealogia di Esiodo, al De rerum natura di Lucrezio e a un inno omerico. Contrariamente al titolo con cui l’opera è nota, essa non raffigura la nascita della dea, ma il suo approdo sull’isola di Cipro.

Venere avanza leggera fluttuando su una conchiglia lungo la superficie del mare increspata dalle onde, in tutta la sua grazia e ineguagliabile bellezza, nuda e distante come una splendida statua antica. Viene sospinta e riscaldata dal soffio di Zefiro, il vento fecondatore, abbracciato a un personaggio femminile con cui simboleggia la fisicità dell’atto d’amore, che muove Venere col vento della passione. Forse la figura femminile è la ninfa Clori, forse il vento Aura o Bora.

Sulla riva una fanciulla, una delle Ore che presiede al mutare delle stagioni, in particolare la Primavera, porge alla dea un magnifico manto rosa ricamato di fiori per proteggerla (mirti, primule e rose). Essa rappresenta la casta ancella di Venere ed ha un vestito setoso riccamente decorato con fiori e ghirlande di rose e fiordalisi, i fiori che la dea Flora trovò vicino al corpo dell’amato Cyanus.

La posa della dea, con l’equilibrato bilanciamento del “contrapposto”, deriva dal modello classico della Venus pudica (cioè che si copre con le braccia il seno e il basso ventre) e Anadiomene (cioè “emergente” o nascente dalla spuma marina), di cui i Medici possedevano una statua classica fin dal 1375 citata da Benvenuto Rambaldi (non si tratta però della celebre Venere de’ Medici, giunta in città solo nel 1677). Il volto pare che si ispirasse alle fattezze di Simonetta Vespucci, la donna dalla breve esistenza (morì a soli 23 anni) e dalla bellezza “senza paragoni” cantata da artisti e da poeti fiorentini.

INTERPRETAZIONE

L’opera nasconde un’allegoria neoplatonica basata sul concetto di amore come energia vivificatrice, come forza motrice della natura.

Sicuramente la nudità della dea non rappresentava per i contemporanei una pagana esaltazione della bellezza femminile, ma piuttosto il concetto di Humanitas, intesa come bellezza spirituale che rappresenta la purezza, la semplicità e la nobiltà dell’anima. Non a caso è stato fatto un parallelismo tra Venere e l’anima cristiana, che nasce dalle acque del battesimo. Sarebbe dunque un’allegoria dell’amore inteso come forza motrice della Natura e la figura della dea e la posa di Venus pudica (ossia mentre copre la sua nudità con le mani ed i lunghi capelli biondi) rappresenterebbe la personificazione della Venere celeste, simbolo di purezza, semplicità e bellezza disadorna dell’anima. Tra le varie interpretazioni recenti, sta emergendo l’idea che la rappresentazione sia interpretabile attraverso canoni cristiani con evidenti contaminazioni neoplatoniche derivate dall’influente accademia fiorentina, che rimanderebbero ad un pensiero di matrice geografica, che a sua volta, si collega agli avvenimenti preparatori della scoperta-disvelamento del Nuovo Mondo. (Claudio Piani, Diego Baratono 2011, Ilaria Sabbatini 2013, Sandra Marraghini 2015).

Questo era del resto uno dei concetti fondamentali dell’umanesimo neoplatonico, che ritorna sotto diversi aspetti anche negli altri dipinti a soggetto mitologico realizzati dal Botticelli all’incirca nello stesso periodo.


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