“Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo” Caterina Sforza

A lei è dedicata una ballata del XVI secolo,

attribuita a Marsilio Compagnon, che così comincia:

Ascolta questa sconsolata
Catherina da Forlivo
Ch’io ho gran guerra nel confino
Senza aiuto abbandonata
Io non veggo alcun signore
Che a cavallo monti armato
E poi mostri il suo vigore
Per difendere il mio stato
Tutto il mondo è spaventato
Quando senton criar Franza
E d’Italia la possanza
Par che sia profundata
‘Scolta questa sconsolata
Catherina da Forlivo…

 

CATERINA SFORZA

La grande Caterina Sforza nasce a Milano nel 1463 e morì a Firenze il 28 maggio del 1509. A fianco del marito Girolamo Riario prese il titolo di Signora di Imola e Contessa di Forlì, e a seguire, come Reggente del figlio primogenito Ottaviano. Di grande bella, intelligente, enigmatica, fu una delle donne più note e ammirate del suo tempo e considerata una delle figure femminili più importanti della romagna, definita “la grande signora della Romagna”. Figlia illegittima Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, e di Lucrezia Landriani, moglie del cortigiano Gian Piero Landriani, crebbe nella raffinata ed elitaria corte di Milano, che nel XV secolo. Nel 1472 il padre la diede in moglie a Girolamo Riario, nipote (o forse figlio) del Papa Sisto IV e signore di Imola, successivamente anche signore di Forlì. Sostituì la cugina Costanza Fogliani, all’epoca undicenne, la quale, venne rifiutata dallo sposo perché la madre della fanciulla, Gabriella Gonzaga, pretendeva che la consumazione del matrimonio avvenisse solo al compimento dell’età legale della figlia, che allora era di quattordici anni, mentre per Caterina, nonostante al momento avesse solo dieci anni, si acconsentì alle pretese dello sposo; altre fonti invece, riportano che il matrimonio di Caterina e Girolamo venne celebrato nel 1473, ma consumato solo dopo il compimento del tredicesimo anno della sposa, senza aggiungere le cause che fecero fallire le trattative per il matrimonio di Costanza.

Alla morte di Papa Sisto IV,  Caterina raggiunse a cavallo la rocca di Castel Sant’Angelo per occuparla a nome del marito, che ne era il governatore. Da qui, con i soldati che le obbedivano, Caterina minacciò con le sue armi il Vaticano e poteva costringere i cardinali a patteggiare con lei. Invano tentarono di persuaderla a lasciare la fortezza, poiché la giovane nobildonna era ben decisa a consegnarla solo al nuovo papa. Il 14 aprile del 1488, dopo diverse cospirazioni fallite, Girolamo Riario venne ucciso a Forlì da un complotto popolare; Caterina, con astuzia,  sconfisse i cospiratori ed il 30 aprile dello stesso anno iniziò il suo governo in quanto Reggente per il figlio Ottaviano, ancora troppo piccolo per poter governare.

La Contessa Caterina si innamorò perdutamente del ventenne Giacomo Feo, castellano di Ravaldino, fedele servitore del marito . Lo sposò clandestinamente, per non perdere la tutela dei figli e il governo del suo Stato. Tutte le cronache del periodo riportano come Caterina fosse follemente innamorata del giovane Giacomo. Si temette per un periodo anche che volesse, per amore, togliere lo Stato al figlio Ottaviano per donarlo al castellano, suo amante e compagno. Riuscì attraverso la sua intelligenza e risolutezza ad acquisire un ruolo di grande rilievo nella politica italiana al momento della caduta di Carlo VIII, appoggiando gli aragonesi, e successivamente i francesi.
Nel 1495 Iacopo Feo venne ucciso crudelmente e Caterina, dopo averlo vendicato con tutta la sua forza, sposò in segreto Giovanni de’ Medici detto Giovanni il popolano.

Giovanni il Popolano dipinto da Sandro Botticelli circa 1490, National Gallery of Art, Washington.

Dal matrimonio con il De’ Medici nacque Ludovico di Giovanni de’ Medici, detto Giovanni delle Bande Nere o dalle Bande Nere.
Intanto Cesare Borgia, detto il Valentino, figlio di Papa Alessandro VI, portava avanti il suo intento di costruire un proprio ducato in Romagna e, nel novembre del 1499, assediò Imola. L’11 dicembre cadde la rocca, inutilmente difesa da Dionigi di Naldi. Alcuni giorni dopo il Valentino entrò in Forlì con un esercito di 15 mila uomini. Caterina, invece di fuggire, si richiuse nella rocca di Ravaldino e oppose una dura resistenza dirigendo personalmente i difensori. Di fronte alle forze prevalenti, il 12 gennaio del 1500 cadde anche la rocca di Forlì, Caterina fu fatta prigioniera da Cesare Borgia e rinchiusa in Castel Sant’Angelo, dove subì torture e umiliazioni. Il 30 giugno del 1501 Caterina fu liberata e visse gli ultimi anni della sua vita a Firenze con il figlio Giovanni. Provò, senza risultato, a recuperare la signoria e morì il 28 maggio 1509.

Donna dalla grande bellezza, valorosa combattente, virago e demonio femminile, esperta in esoterismo e alchimie erboristiche, decisa e risoluta con i nemici. Machiavelli stesso l’ammirò per la sua resistenza e forza. Indimenticabile è stata la distruzione di Palazzo Orsi a seguito dell’uccisione del suo amato, o l’aneddoto che la ricorda sulla cortina di Schiavonia, assediata dai faentini che minacciavano di ucciderne il figlio, proseguì incurante delle ripercussioni, alzando la gonna e indicando la sua vulva quale “strumento per fare altri figli”.

IL RICETTARIO DI CATERINA SFORZA –  Liber de experimentiis Catherinae Sfortiae

Una delle eredità che Caterina ci ha lasciato è rinchiusa in un libro: Experimenti della excellentissima signora Caterina da Forlì, composto da 471 ricette e pozioni per guarire dalle malattie e per conservare la bellezza.

Le numerose cronache del tempo mostrano Caterina come una donna dalla bellezza e dal fascino unici. Il ricettario presenta numerose ricette per preservare la sua bellezza: per “fare la faccia bianchissima et bella et colorita”, per “far crescere li capelli”, per “far venure li capelli rizzi”, per “far li capelli biondi de colore de oro” per “far le mani bianche et belle tanto che pareranno de avorio”.

Molte formulazioni sono legate per analogia cromatica: così il bianco ha il potere di schiarire la pelle grazie al bulbo del giglio, guscio d’uovo, piccione bianco distillato, raschiatura d’avorio.

Altre giocano sull’etimologia: così la radice di celidonia, il cui nome deriva dalla parola greca “chelidon”, che indica anche la rondine, produce un latte caustico che fa cadere i capelli, mentre per raggiungere lo stesso scopo Caterina propone una ricetta a base di rondini distillate.

Del medesimo genere etimologico è l’uso del finocchio che rende acuta la vista (occhio fino).

Per fare ricrescere le chiome la contessa suggerisce polvere di rane, lucertole e api essiccate al forno o, per una depilazione duratura della parte anteriore del cranio, come voleva la moda dell’epoca, l’applicazione sulla fronte di mastici vegetali, una lastra di piombo e pezze bagnate nel sangue di pistrello.

Più ragionevoli i prodotti per nutrire la pelle, che presentano un vero e proprio campionario di proteine: albume, olio, sego di agnello, di vitello e di maiale, olio di mandorle, farine vegetali.

La signora di Forlì conosceva anche i segreti per fare pezzette “de Levante” con le quali le donne si arrossavano le guance. La tintura era costituita da allume di rocca, calce viva e brasile, ossia il legno di “Caesalpinia echinata”, detto anche Pernambuco, che si usava anche per tingere i tessuti; nel testo si raccomanda di togliere la calce quando la pelle comincia ad arrossarsi senza rendersi conto che il fenomeno costituisce l’inizio di una pericolosa infiammazione.

Non c’è da meravigliarsi, stante le conoscenze scientifiche dell’epoca, dell’uso cosmetico di altri prodotti come la cerussa e il litargirio, chiamato da Dioscoride Pedanio (medico e farmacista greco, 40-90 d.C.) “spuma d’argento”, derivati dal piombo ed usati fin dall’antichità per schiarire la carnagione.

La più famosa tra le ricette di Caterina è l’Acqua celeste: “è de tanta virtù che li vecchi fa devenir giovani et se fosse in età di 85 anni lo farà devenir de aparentia de anni 35, fa de morto vivo cioè se al infermo morente metti in bocca un gozzo de dicta aqua, pur che inghiottisce, in spazio di 3 pater noster, ripiglierà fortezza et con l’aiuto de Dio guarirà.” L’acqua celeste era una sorta di tonico che conteneva decine di ingredienti che venivano distillati e lavorati: ne facevano parte anche salvia, basilico, rosmarino, garofano, menta, noce moscata, sambuco, rose bianche e rosse, incenso, anice. Essa non è il primo caso di “acqua miracolosa”: già alla fine del XIV secolo era stata distillata quella di Elisabetta Regina di Ungheria che, secondo quanto testimonia lei stessa, la fece guarir dalla gotta e le procurò alla veneranda età di 72 anni, una richiesta di matrimonio da parte del venticinquenne re di Polonia. Questi rimedi rispecchiano la ricerca plurisecolare dell’elisir di lunga vita, una leggendaria pozione capace di dare immortalità su cui vertevano gli studi degli alchimisti medievali, e che si riflette anche nell’uso da parte di Caterina della Teriaca, un farmaco a base di carne di vipera già noto nell’antica Grecia, contenente oltre a ciò decine di ingredienti, e che si pensava dotato di virtù magiche e capace di debellare qualsiasi malanno.

Si danno di seguito tre ricette di bellezza: “A far la facia alle donne bellissima et chiara Piglia radice de yreos et radice de cucumeri asinini lupini, circer biancho, fava, orzo, seme de melone, ancora polverizza sottilmente e impasta con aqua de melone, o vero aqua de orzo ben cotta et impastala in piccola forma et ponilo a seccare a lo aere, o vero al vento et come è secca polveriza de novo et piglia de quella polvere et con albume de ovo fa un linimento sopra la faccia et lassa star per un hora et poi lavala con semola et aqua tepida, che è mirabilissima.”

A fare li denti bianchissimi netti et belli et consolidar gengive perfettamente Piglia osso de seppia, marmo bianco, passato de ciascuno da essi con una polvere de coralli once 3. Allume de rocco brusato, mastice e canella once 1, e fa de queste cose sottilmente piste polvere poi componi con mele rosato quanto a te p’are bastante, che sia a modo de ontione, et con questo fregati benissimo li denti che veneranno bellissimi et eccelenti, et se incarnano et se conserva le gengive optimamente.

A fare le mammelle piccole et dure alle donne piglia zusverde tanta quantità che faccia una scodella de succo, et aceto bianco più forte tu puoi et componi lo succo con aceto, poi bagna ditte pezze di canovaccio in ditta aqua et siano beni bagnati et poni sopra el petto et abbi doi tazzette di vetrio sopra le pezze che vadano sopra alle tecte, et muta spesso poi lega con una fascia longa, più stretto che poi sofferire, et cusì farai piccole dure et el petto bello, mentre tu fai questo la domina sia casta.

La Rocca di Ravaldino, conosciuta anche come la Rocca di Caterina Sforza è una cittadella fortificata che sorge nella città di Forlì.


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