Ceyx in naufragio periit [«morì»] Alcyone [«Alcione», nom. f. sg.], uxor eius, propter amorem se in mare praecipitavit; Ceyx et Alcyone deorum misericordia in aves sunt mutati. Hae aves alcyones dicuntur et nidum, ova, pullos in mari paucis diebus faciunt hiberno tempore; mare his diebus tranquillum est.

La storia d’amore tra Alcyone e Ceyx ritrae uno dei miti dell’antica grecia nel quale l’amore trionfa sulla sofferenza e sulla tragedia.

Ceyx and Alcyone by Richard Wilson (1713-1782)

La giovane Alcyone (Ceice, in greco antico: Κήϋξ, Kéyx) era la figlia di Eolo ( Αἴολος, Aiolos), il re e padrone dei venti, e sua madre era Enarete o Aegiale (Ἐναρέτη – Αἰναρέτη). La fanciulla era l’adorata moglie di Ceyx, re di Trachis, nella Grecia centrale. Ceyx governò il suo regno con giustizia e in pace, benvoluto e amato dal suo popolo. Alcyone e Ceyx affascinavano tanto gli dei quanto i mortali per la loro bellezza, così come per il loro profondo e autentico amore.

I due amanti erano talmente felici per il loro matrimonio che si chiamavano dolcemente Zeus e Hera, come i grandi sposi divini. Tale arroganza fece infuriare Zeus, che vedeva in quell’atto, un affronto ricco d’audacia poiché nessuno poteva paragonarsi agli dei. Il signore degli dei attese il momento giusto per punire la coppia.

Ceyx era in lutto per la morte del fratello e profondamente turbato per alcuni situazioni/segni che aveva notato nell’ombra. Così, decise di consultare l’oracolo di Apollo a Carlos in Ionia (Anatolia occidentale). Alcyone cercò di dissuadere il suo amato sposo perchè rammentava la furia dei venti che persino suo padre trovava difficile comandare, soprattutto in mare.

Nonostante i suoi sforzi e la richiesta di andare con lui, Ceyex si imbarcò per scoprire ciò che turbava le loro esistenze. Alcyone osservò suo marito scomparire fra le onde del mare coltivando in cuor suo una brutta sensazione.

La punizione di Zeus

Zeus ( Ζεύς, Zèus), comprese che era un momento favorevole per punire la coppia per la loro irriverenza e senza esitare lanciò un fulmine che sollevò un possente uragano che inghiottì la nave.

Ceyx senza forze comprese che era arrivata la sua fine, prima di esalare l’ultimo respiro, pregò gli dei per permettere al suo corpo di giungere a terra in modo da consentire alla sua amata Alcyone di celebrare i riti funebri. Mentre Ceyx stava morendo nella gelida acqua salina, suo padre Esoforo, la stella del mattino, osservava impotente, incapace di lasciare il cielo e salvare suo figlio.


Alcione dipinta da Herbert James Draper

L’eterno amore

Alcyone attese per un lungo periodo di tempo il suo sposo, pregando amorevolmente gli dei, in particolare Hera (Ἥρα ), la regina degli dei, per il ritorno di Ceyx. Hera osservando la fanciulla provava un profondo dolore e, senza esitare, mandò il suo messaggero Iris, dea dell’arcobaleno, a cercare Hypnos, il dio del sonno e consolatore degli afflitti, a cui fu assegnata la missione di informare delicatamente Aclytone della prematura morte di Ceyx. Hypnos, a sua volta, affidò la missione a suo figlio Morfeo, esperto nel formare apparizioni.

Morfeo plasmò uno spettro di Ceyx che rivelò alla sua amata le tragiche circostanze riguardanti il ​​naufragio e la sua morte. Disperata e tremante Alcyone corse in riva al mare battendosi il seno e strappandosi le vesti che la cingevano. Improvvisamente dall’acqua vide emergere il corpo di un uomo che era stato adagiato dolcemente sulla riva. Avvicinandosi, si rese conto che era il corpo del suo amato Ceyx. Dopo aver compiuto gli ultimi riti funebri e incapace di continuare a vivere senza suo marito, Alcyone si gettò in mare e si annegò, determinata a unirsi a suo marito nella terra dei morti.

Gli dei dell’Olimpo furono profondamente commossi e colpiti dal tragico destino di Alcyone e Ceyx, nonché dal loro meraviglioso amore che nemmeno le gelide mani della morte potevano estinguere. Gli dei, soprattutto Zeus, comprese la sua azione avventata e per espiare tale tragedia trasformò la coppia in uccelli di Halcyon (un tipo di uccello, probabilmente un martin pescatore o una specie di gabbiano) per donargli una nuova possibilità di stare insieme oltre la morte.

The Fall of Phaeton – Peter Paul Rubens 

Gli innamorati erano tanto legati al mare che, sotto le nuove sembianze, fecero il nido lì vicino. Purtroppo, esso veniva continuamente distrutto così Zeus, rimasto sconvolto dalla loro tenacia, decise di placare il mare per sette giorni, prima e dopo il solstizio d’inverno, affinché potessero riprodursi.

Il mito supera il tempo

La frase halcyon days deve la sua origine a questo bellissimo mito di Alcyone e Ceyx. Secondo la leggenda, per settimane di traino ogni gennaio, Eolo, padre di Alcyone, calma i venti e le onde in modo che Alcyone, nella forma di un uccello, possa tranquillamente fare il suo nido sulla spiaggia e deporre le uova. Quindi, il termine “giorni halcyon” viene a indicare un periodo di grande pace e calma.


Per saperne di più!

SOGNO E METAMORFOSI DI ALCIONE E CEICE
OVIDIO, METAMORFOSI, LIBRO XI, vv. 592-749
SEC. I

LA CASA DEL SONNO E DEI SOGNI

592 Est prope Cimmerios longo spelunca recessu,
mons cavus, ignavi domus et penetralia Somni,
quo numquam radiis oriens mediusve cadensve
595 Phoebus adire potest; nebulae caligine mixtae
exhalantur humo dubiaeque crepuscula lucis.
Non vigil ales ibi cristati cantibus oris
evocat Auroram, nec voce silentia rumpunt
sollicitive canes canibusve sagacior anser;
600 non fera, non pecudes, non moti flamine rami
humanaeve sonum reddunt convicia linguae:
muta quies habitat; saxo tamen exit ab imo
rivus aquae Lethes, per quem cum murmure labens
invitat somnos crepitantibus unda lapillis.
605 Ante fores antri fecunda papavera florent
innumeraeque herbae, quarum de lacte soporem
Nox legit et spargit per opacas umida terras;
ianua, ne verso stridores cardine reddit,
nulla domo tota est, custos in limine nullus;
610 at medio torus est ebeno sublimis in antro,
plumeus, atricolor, pullo velamine tectus,
quo cubat ipse deus membris languore solutis.
Hunc circa passim varias imitantia formas
somnia vana iacent totidem, quot messis aristas,
615 silva gerit frondes, eiectas litus harenas.
Quo simul intravit manibusque obstantia virgo
somnia dimovit, vestis fulgore reluxit
sacra domus, tardaque deus gravitate iacentes
vix oculos tollens iterumque iterumque relabens
620 summaque percutiens nutanti pectora mento
excussit tandem sibi se cubitoque levatus,
quid veniat (cognovit enim), scitatur; at illa:
 « Somne, quies rerum, placidissime, Somne, deorum,
pax animi, quem cura fugit, qui corpora duris
625 fessa ministeriis mulces reparasque labori,
somnia, quae veras aequent imitamine formas,
Herculea Trachine iube sub imagine regis
Alcyonen adeant simulacraque naufraga fingant.
Imperat hoc Iuno ». Postquam mandata peregit,
630 Iris abit (neque enim ulterius tolerare soporis
vim poterat), labique ut somnum sensit in artus,
effugit et remeat, per quos modo venerat arcus.

(592) Nel paese dei Cimmeri c’è un monte cavo, e una lunga spelonca vi si addentra, dimora e rifugio del pigro Sonno, dove il Sole non può entrare (595) quando sorge, né a mezzogiorno, né al tramonto: esalano dal suolo nebbie miste a caligine e crepuscoli di luce incerta.
Non c’è il vigile uccello crestato a chiamare l’Aurora col canto, non rompono i silenzi i cani che fanno sempre la guardia, né l’oca più accorta dei cani; (600) non rompono il silenzio versi di bestie feroci, né belati di greggi, né lo stormire di alberi al vento, né suono di lingua umana: una muta quiete vi abita; ma un rivo d’acqua del Lete/Oblio sale dalle profondità della roccia, e la sua onda invita il sonno lambendo con un mormorio le pietre sconnesse. (605)
Davanti alla bocca dell’antro rigogliosi fioriscono papaveri e innumerevoli erbe, quante la Notte ne raccoglie e dissemina per le terre umide di tenebra; in tutta la casa non c’è nemmeno una porta, perché muovendosi i cardini non mandino cigolii, né un solo custode sulla soglia; (610) ma al centro della grotta c’è un letto d’ebano sublime, piumato, d’un solo colore, coperto da un cupo velo, sul quale è disteso il dio stesso, le membra languidamente sciolte. Intorno a lui giacciono i sogni vani, innumerevoli, tanti quante sono le spighe del campo, (615) le fronde del bosco, i grani di rena sbattuti sulla spiaggia.
Appena entrò la vergine scostò con le mani i Sogni che le stavano davanti, la sacra dimora rifulse del fulgore della sua veste di luce, e il dio con greve lentezza, alzando appena gli occhi chiusi, e (620) battendo il mento sulla sommità del petto vacillante, finalmente si scosse e si sollevò sui gomiti e, perché era venuta, le chiese, riconoscendola, ma lei: « O Sonno, quiete di tutte le cose, Sonno, il più placido degli dei, pace dell’animo, da te fugge ogni cura, tu che accarezzi i corpi (625) sfiniti dai duri servizi e li ristori per il lavoro, comanda ai Sogni, che imitandole eguagliano le forme vere, che vadano a Trachine, la città di Ercole, da Alcione, con l’aspetto del re e si mostrino con la figura del naufrago. Giunone lo vuole. » Appena riferito l’ordine (630) Iride va via: perché non avrebbe più potuto resistere al potere del torpore, e come sente il sonno che le penetra nelle articolazioni, fugge e torna indietro lungo lo stesso arco per il quale era venuta.

MORFEO SI PRESENTA AD ALCIONE COME CEICE

At pater e populo natorum mille suorum
excitat artificem simulatoremque figurae
635 Morphea. Non illo quisquam sollertius alter
exprimit incessus vultumque sonumque loquendi;
adicit et vestes et consuetissima cuique
verba, sed hic solos homines imitatur; at alter
fit fera, fit volucris, fit longo corpore serpens:
640 hunc Icelon superi, mortale Phobetora vulgus
nominat; est etiam diversae tertius artis
Phantasos: ille in humum saxumque undamque trabemque,
quaeque vacant anima, fallaciter omnia transit;
regibus hi ducibusque suos ostendere vultus
645 nocte solent, populos alii plebemque pererrant.
Praeterit hos senior cunctisque e fratribus unum
Morphea, qui peragat Thaumantidos edita, Somnus
eligit et rursus molli languore solutus
deposuitque caput stratoque recondidit alto.
650 Ille volat nullos strepitus facientibus alis
per tenebras intraque morae breve tempus in urbem
pervenit Haemoniam, positisque e corpore pennis
in faciem Ceycis abit sumptaque figura
luridus, exanimi similis, sine vestibus ullis
655 coniugis ante torum miserae stetit; uda videtur
barba viri madidisque gravis fluere unda capillis.
Tum lecto incumbens fletu super ora profuso,
haec ait: « Agnoscis Ceyca, miserrima coniunx?
an mea mutata est facies nece? Respice: nosces
660 inveniesque tuo pro coniuge coniugis umbram.
Nil opis, Alcyone, nobis tua vota tulerunt:
occidimus! Falso tibi me promittere noli.
Nubilus Aegaeo deprendit in aequore navem
auster et ingenti iactatam flamine solvit,
665 oraque nostra tuum frustra clamantia nomen
inplerunt fluctus. Non haec tibi nuntiat auctor
ambiguus, non ista vagis rumoribus audis:
ipse ego fata tibi praesens mea naufragus edo.
Surge, age, da lacrimas lugubriaque indue nec me
670 indeploratum sub inania Tartara mitte ».
Adicit his vocem Morpheus, quam coniugis illa
crederet esse sui; fletus quoque fundere veros
visus erat gestumque manus Ceycis habebat.
Ingemit Alcyone; lacrimas movet atque  lacertos
675 per somnum corpusque petens amplectitur auras
exclamatque: «mane! Quo te rapis? Ibimus una.’

Ecco che il padre della stirpe dei suoi mille figli sveglia Morfeo, artefice e imitatore della figura. Non c’è nessuno più abile di lui nel fingere l’andatura, il volto e l’accento nel parlare; ai quali poi aggiunge le vesti e il lessico più tipici di ciascuno; lui però imita soltanto gli esseri umani, un altro fa le bestie feroci, fa gli uccelli, fa il serpente dal lungo corpo: (640) gli dei celesti lo chiamano Icelo, la stirpe dei mortali lo chiama Fobetore; ce n’è anche un terzo, Fantaso, con un’altra arte ancora: trasformandosi si finge terra, sasso, onda, legno, e ogni cosa che non ha anima; sono soliti mostrare le loro forme di notte a re (645) e condottieri, altri poi vanno errando fra il popolo e la plebe.
Il padre Sonno fra tutti i fratelli sceglie proprio Morfeo, perché esegua l’ordine della figlia di Taumante, poi, lasciandosi andare ancora al molle languore, poggia il capo e sprofonda nelle spesse coltri. (650)
Quello vola nelle tenebre con le ali che non fanno il minimo rumore, in un breve lasso di tempo arriva alla città Emonia, e deposte dal corpo le ali piumate prende le forme di Ceice e con il suo aspetto si mette davanti al letto della sua povera sposa, (655) sporco di terra, come un cadavere, completamente senza vesti: la barba dello sposo sembrava bagnata, e che dai capelli madidi e pesanti pareva cadere acqua di mare.
Così allora, incombendo sul letto, col viso pieno di lacrime, parlava: « Riconosci Ceice, povera sposa mia, o il mio aspetto è tanto cambiato con la morte?  Guardami: mi riconoscerai (660) e al posto del tuo sposo dello sposo troverai l’ombra! I tuoi voti, Alcione, non mi hanno portato fortuna: sono morto! Non voglio mentirti promettendoti di tornare! L’Austro nuvoloso si è impadronito della nave sul mare Egeo e col suo immane soffio l’ha disfatta, (665) e i flutti mi hanno riempito la bocca mentre invano chiamavo il tuo nome. Non è un testimone ambiguo chi ti dà queste notizie, non stai sentendo vaghe dicerie: sono io stesso, naufrago, che ti sto dinnanzi e ti rivelo la mia sorte. 
Alzati, muoviti, versa le tue lacrime e vestiti a lutto e non mandarmi (670) fra le ombre vane senza compianto! »
Morfeo diceva queste parole fingendo anche la voce, perché lei credesse che a dirle fosse il suo sposo; le stesse lacrime che versava sembravano vere, e muoveva anche le mani coi gesti di Ceice.
Alcione geme nel sonno; sgorgano le lacrime e muovendo le braccia (675) e protendendo il corpo abbraccia l’aria e grida: « Rimani! dove fuggi? ce ne andremo insieme. »

IL RISVEGLIO DI ALCIONE

Voce sua specieque viri turbata soporem
excutit et primo, si sit, circumspicit, illic,
qui modo visus erat; nam moti voce ministri
680 intulerant lumen. Postquam non invenit usquam,
percutit ora manu laniatque a pectore vestes
pectoraque ipsa ferit; nec crines solvere curat:
scindit et altrici, quae luctus causa, roganti
 « Nulla est Alcyone, nulla est » ait, « occidit una
685 cum Ceyce suo. Solantia tollite verba!
Naufragus interiit. Vidi agnovique manusque
ad discedentem cupiens retinere tetendi.
Umbra fuit, sed et umbra tamen manifesta virique
vera mei. Non ille quidem, si quaeris, habebat
690 adsuetos vultus nec quo prius, ore nitebat:
pallentem nudumque et adhuc umente capillo
infelix vidi: stetit hoc miserabilis ipso,
ecce, loco » (et quaerit, vestigia siqua supersint).
 « Hoc erat, hoc, animo quod divinante timebam,
695 et ne me fugeres, ventos sequerere, rogabam.
At certe vellem, quoniam periturus abibas,
me quoque duxisses tecum: fuit utile tecum
ire mihi. Neque enim de vitae tempore quicquam
non simul egissem, nec mors discreta fuisset.
700 Nunc absens perii, iactor quoque fluctibus absens,
et sine me me pontus habet. Crudelior ipso
sit mihi mens pelago, si vitam ducere nitar
longius et tanto pugnem superesse dolori;
sed neque pugnabo nec te, miserande, relinquam
705 et tibi nunc saltem veniam comes, inque sepulcro
si non urna, tamen iunget nos littera: si non
ossibus ossa meis, at nomen nomine tangam.’
Plura dolor prohibet, verboque intervenit omni
plangor, et attonito gemitus a corde trahuntur.

Turbata dall’apparizione dello sposo e dalla sua stessa voce, si riscuote dal sopore e prima di tutto si guarda intorno, per vedere se c’è quello che ha appena visto; perché i servitori richiamati dalla sua voce (680) avevano portato il lume. Poi, siccome non trova nessuno, si percuote il viso con le mani e si strappa le vesti dal petto e si ferisce anche il petto e non si cura di sciogliersi i capelli: li strappa e alla nutrice, che le chiede la ragione del pianto: « Alcione non  c’è più, non c’è nessuna Alcione », dice, « è morta col suo Ceice. Risparmiatevi le parole di conforto! è morto naufrago. L’ho visto e l’ho riconosciuto e ho teso le mani cercando di trattenerlo mentre se ne andava lontano. Era un’ombra, ma era il mio sposo ormai ombra di se stesso, ne sono certa. Se ora me lo chiedi, non aveva la sua espressione solita, il suo viso non splendeva come prima: l’ho visto, povera me, pallido e nudo e poi aveva i capelli madidi: ecco, il povero sposo mio stava proprio qui » (e guarda se ne fosse rimasta qualche traccia).
 « Era questo, questo, che temevo con animo presago, (695) e ti chiedevo di non fuggire via da me per andar dietro ai venti. Di certo avrei voluto, visto che partivi per morire, che tu portassi anche me: mi sarebbe convenuto venire con te. Così non avremmo vissuto un tempo della nostra vita senza essere insieme, e non avremmo avuto due morti separate.
Ora sono morta lontano, e anche se io non ci sono le onde mi travolgono, e il mare mi tiene senza avermi.
Ma più crudele del mare sarebbe con me la mia mente, se mi sforzassi di restare ancora in vita e se combattessi per superare un dolore come questo; ma non combatterò, né ti lascerò, mio povero amore, (705) e ti sarò se non altro compagna di viaggio, e nel sepolcro, se non l’urna, ci unirà l’iscrizione: se non toccherai le mie ossa con le tue, il nome almeno toccherò col nome. »
Il dolore le proibisce altre cose, e il pianto si mescola a ogni parola, e i gemiti sgorgano dal cuore smarrito.

LA METAMORFOSI

710 Mane erat: egreditur tectis ad litus et illum
maesta locum repetit, de quo spectarat euntem,
dumque moratur ibi dumque « Hic retinacula solvit,
hoc mihi discedens dedit oscula litore » dicit
dumque notata locis reminiscitur acta fretumque
715 prospicit, in liquida, spatio distante tuetur
nescio quid quasi corpus aqua, primoque, quid illud
esset, erat dubium; postquam paulum adpulit unda,
et, quamvis aberat, corpus tamen esse liquebat,
qui foret, ignorans, quia naufragus, omine mota est
720 et, tamquam ignoto lacrimam daret, « Heu! Miser » inquit,
 « quisquis es, et siqua est coniunx tibi ». Fluctibus actum
fit propius corpus; quod quo magis illa tuetur,
hoc minus et minus est mentis sua, iamque propinquae
admotum terrae, iam quod cognoscere posset,
725 cernit: erat coniunx! « Ille est! » exclamat et una
ora, comas, vestem lacerat tendensque trementes
ad Ceyca manus « Sic, o carissime coniunx,
sic ad me, miserande, redis? » ait. Adiacet undis
facta manu moles, quae primas aequoris iras
730 frangit et incursus quae praedelassat aquarum:
insilit huc. Mirumque fuit potuisse: volabat
percutiensque levem modo natis aera pennis
stringebat summas ales miserabilis undas,
dumque volat, maesto similem plenumque querellae
735 ora dedere sonum tenui crepitantia rostro.
Ut vero tetigit mutum et sine sanguine corpus,
dilectos artus amplexa recentibus alis
frigida nequiquam duro dedit oscula rostro.
Senserit hoc Ceyx an vultum motibus undae
740 tollere sit visus, populus dubitabat, at ille
senserat, et, tandem superis miserantibus, ambo
alite mutantur. Fatis obnoxius isdem
tunc quoque mansit amor nec coniugiale solutum est
foedus in alitibus: coeunt fiuntque parentes,
745 perque dies placidos hiberno tempore septem
incubat Alcyone pendentibus aequore nidis.
Tum via tuta maris: ventos custodit et arcet
Aeolus egressu praestatque nepotibus aequor.

(710) Era mattina: esce dalla casa verso la spiaggia e mesta ritorna nel posto dal quale l’ha visto partire, e mentre si ferma qui, dice: « Qui ha sciolto gli ormeggi, qui sulla spiaggia mi ha baciata mentre partiva », e mentre ricorda punto per punto quello che era accaduto in quei posti, e guarda lontano sul mare, scorge qualcosa sull’acqua, sembra un corpo, e in un primo momento non aveva visto bene che cosa fosse; poi quando le onde lo portarono più vicino, anche se era ancora distante, vide bene che era un corpo, e anche non sapendo di chi fosse, ma certo era di un nafrago, fu turbata dal presagio, (720) e mentre piangeva per lo sconosciuto: « Oh! che misera sorte, la tua! » disse, «chiunque tu sia, e misera la tua sposa, se ne hai una! », il corpo spinto dalle onde si avvicinò: più lo guarda, meno è padrona di se stessa, e ora che è arrivato quasi sulla riva, abbastanza vicino perché ne distingua la forma, lo riconosce: (725) era il suo sposo! « È lui! » esclama e si lacera il volto e i capelli e la veste e tendendo a Ceice le mani tremanti, dice: « Così sposo carissimo, così mi torni, povero amore? ».
C’era fra le onde un molo costruito dall’uomo, (730) che frange la prima collera del mare e fiacca l’assalto delle acque: da questo spicca il salto. Per miracolo accadde: volava e battendo l’aria con le ali appena nate, lieve querulo uccello, fendeva il pelo dell’acqua, e volando la bocca emise col becco sottile un suono (735) simile al pianto e pieno di lamenti.
E così accadde, che appena toccò il corpo muto ed esangue, abbracciando con le ali nuove le membra tanto amate, col becco rigido gli dava i freddi baci.
Se Ceice lo sentisse, o se rivoltato dal movimento dell’onda sembrasse alzare il viso,  (740) non si sa con certezza, ma lui aveva sentito: e gli dei celesti, provando finalmente pietà, li trasfomarono entrambi in uccelli.
Allora l’amore li tenne legati a un solo destino, e fra le creature alate non si sciolse il nodo coniugale: si accoppiano e diventano genitori, (745) e per sette placidi giorni durante l’inverno Alcione cova in nidi sospesi sul mare.
Allora è sicura la via del mare: Eolo trattiene i venti e ne impedisce l’uscita: distende il mare per i suoi nipoti.


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