“Sei davvero tu” mormorò. “Sei tu, Morgana… sei tornata da me… e sei così giovane e bella… vedrò semore la Dea con il tuo viso… Morgana, non mi lascerai più, vero?” “Non ti lascerò mai più, fratello mio, bambino mio, mio amore”, mormorai, e gli baciai gli occhi. E morì, mentre le nebbie si innalzavano e il sole splendeva sulle rive di Avalon.


dal libro “Le nebbie di Avalon” di Marion Zimmer Bradley

La vostra streghetta Meroe è tornata! Eccomi qua! Volevo raccontarvi di un viaggio che ho fatto a cavallo della mia scopa, prima che prese vita l’epidemia lanciata dalle streghe malvagie. Per qualche tempo saremo rinchiusi in casa ma ciò non vuol dire che non possiamo viaggiare con la fantasia o dedicarci alla programmazione di nuovi viaggi!

Vi condurrò in un viaggio dove le maghe, i cavalieri e le storie d’amore si perdono nel tempo. Ho sono sempre amato la leggenda di Re Artù e dei suoi cavalieri, e ora desidero parlarvi della magica Glastonbury con i suoi palazzi in pietra antica e vetrine colorate, piene di pietre e strumenti per l’arte della stregoneria e della magia. Un luogo affascinante e ricco di energie nelle quale le streghe, i pagani, i wiccan e tantissimi altri fedeli di religioni diverse si incontrano per omaggiare la natura e la sua bellezza. Un luogo magico dove si respira le ambientazioni dei romanzi della fantastica M.Z.Bradley e l’eco degli antichi culti.
Percorrendo le sue piccole strade di ciottoli si respirano i perduti intrighi di corte, gli amori impossibili, le guerre per il dominio del territorio, l’antico culto della Dea Madre, i druidi e le sacerdotesse, i riti e le tradizioni antichissime che cercano di sopravvivere a questo mondo ossessionato dal rigore.
Speravo di rivedere la mia amica, la Fata Morgana, ma era celata fra le nebbie e abbiamo avuto solo il tempo per berci una tisana ristoratrice prima che tutto diventasse ancora più nebbioso. In molti la immaginano come una strega malvagia, l’emblema del male, ma chi la conosce sa che è una Sacerdotessa forte, risoluta e coraggiosa ed è anche un’artista delle tisane e delle erbe! Se vi capita di conoscerla ricordatevelo perché sicuramente ve le offrirà come segno di benvenuto.

Glastonbury

La piccola città rurale di Glastonbury è situata nel Somerset (Inghilterra) ed è una meta affascinante per tutti coloro che assaporano l’arte della magia e ricercano le leggende. Oltre per i miti è celebre anche per le sue antiche origini, ad oggi ancora avvolte in un mare

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di candida nebbia. La colossale ed elegante Glastonbury Tor ospita una delle prime costruzioni cristiane dell’Inghilterra e molte leggende antiche narrano che abbia custodito la tomba di re Artù e della consorte Ginevra oltre ad aver celato il Santo Graal trasportato nell’isola da Giuseppe di Arimatea.

William Blake, poeta, pittore, mistico, credeva nella profezia biblica della “Nuova Gerusalemme” secondo cui una nuova era avrebbe avuto inizio dalla “Engelland” (la “Terra degli Angeli”- “England”) irradiandosi dal “Tempio dei Druidi” di Stonehenge e Avebury.

Direttamente collegata con la visione della “Nuova Gerusalemme” è Glastonbury (definita la “Terra Santa” dell’Inghilterra). Anche Glastonbury, come Avebury, è situata su una delle antiche Ley Lines.
Si dice che la stessa città sia il centro di molte ley lines, cioè degli ipotetici allineamenti di alcuni luoghi di interesse geografico, come, monumenti e megaliti.

Mistero e Storia

La leggenda di Giuseppe di Arimatea è legata all’idea che Glastonbury sia stato il luogo di nascita della cristianità nelle isole britanniche e sede della prima chiesa, costruita per custodire il Graal più di 30 anni dopo la morte di Cristo. La leggenda dice anche che in precedenza Giuseppe d’Arimatea aveva visitato Glastonbury insieme a Gesù, quando questi era un fanciullo. Il poeta e pittore inglese William Blake credette in questa leggenda e scrisse un poema che divenne la più popolare canzone patriottica inglese Gerusalemme.

La leggenda racconta che Giuseppe giunse a Glastonbury per nave, approdando ai Somerset Levels, che erano inondati.

Nello sbarcare piantò a terra il suo bastone, che fiorì miracolosamente nel Biancospino di Glastonbury (“Spina Santa”). Questa è la spiegazione mitica dell’esistenza di questo ibrido, che cresce soltanto alcune miglia attorno a Glastonbury. Fiorisce due volte l’anno, una in primavera e un’altra nel periodo di Natale.

L’originale “Spina Santa” fu oggetto di pellegrinaggi nel Medioevo, ma fu poi distrutta durante la Guerra civile inglese (secondo la leggenda il soldato parlamentarista che compì quest’azione fu accecato da una scheggia). Un nuovo biancospino fu piantato nel XX secolo sulla collina di Wearyall.

Il biancospino, chiamato anche “Rovo di Glastonbury”, appartiene ad una specie originaria della Palestina. Ancora oggi nessuno ha dato una spiegazione plausibile di come una pianta, la cui origine è tanto lontana, sia potuta vivere e crescere in questo luogo.

Narra un’altra leggenda che nel VII secolo San Patrignano andò in visita ai monaci di Glastonbury e trovò la tomba di San Giuseppe; su questa fece costruire una grande chiesa in legno, che fu distrutta da un incendio nel XII secolo. I monaci sopravvissuti la ricostruirono in pietra con annessa abbazia. Durante i lavori, i muratori riportarono alla luce una croce tombale con inciso in latino: “Hic iacet inclitus Rex Arturius in insula Avalonia” (Qui nell’isola di Avalonia è sepolto il famoso re Artù). Della croce di piombo non si ha più traccia, mentre la tomba esiste ancora e si può visitare; è sopravvissuta persino alla distruzione dell’abbazia avvenuta nel 1539 per volere di Enrico VIII, che non tollerava in seno alla sua riforma anglicana quel santuario cristiano, meta di tanti pellegrinaggi.

Lo storico inglese Goffredo di Monmouth, nella sua “Historia Regum Britanniae” (Storia dei re di Britannia, Guanda, Milano 1989), narra che re Artù malato fu portato ad Avalon dove venne curato e guarito dalla “Fata Morgana“, all’epoca feudataria e madre superiora delle dodici suore cui era affidata la cura e la custodia del santuario; quando poi il re trovò la morte in battaglia, la sua salma venne portata a Glastonbury e sepolta.

Una leggenda medievale connette così Artù a questa città, facendola coincidere con la leggendaria dell’isola sacra di Avalon. Nel 1191 i monaci della sua abbazia dissero di aver trovato le tombe di Artù e Ginevra a sud della Lady Chapel della chiesa dell’abbazia.

Il mistero che avvolge però l’Abbazia di Glastonbury è anche il mito legato al Santo Graal, la coppa con la quale Gesù celebrò l’Ultima Cena e nella quale Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo dopo la sua crocifissione. Nel 1539 l’Abbazia di Glastonbury, per volontà di Enrico VIII fu chiusa. Sette monaci, portarono con sé una preziosa e sacra reliquia, trovando rifugio presso il monastero di Santa Florida, in Galles. Si trattava di un calice in legno d’olivo.

Glastonbury Tor

Glastonbury Tor è una verdeggiante collina collocata dolcemente vicino a Glastonbury; sulla sua vetta è presente un edificio privo di tetto e dall’architettura maesosa, la Torre di San Michele.

La collina, di forma conica, è costituita da strati di calcare e peliti e si innalza nella pianura circostante (Somerset Levels). Le pendici della collina presentano sette terrazze profonde e approssimativamente simmetriche ma ad oggi non si conosce la loro origine. Geoffrey Russell nel 1968 vide in questi terrazzamenti un labirinto sacro ma le ipotesi sono molteplici e le teorie si snodano nel susseguirsi degli anni.

La collina è stata chiamata in passato Ynys yr Afalon (“Isola di Avalon”, probabilmente con il significato di “Isola delle mele”) dagli antichi Britanni e alcuni, tra i quali lo scrittore del XII e XIII secolo Giraldo Cambrense, ritengono sia la Avalon del Ciclo arturiano. La collina è stata associata alla leggendaria isola e al mito di Re Artù fin dalla presunta scoperta delle tombe ben segnalate di quest’ultimo e della regina Ginevra, raccontata dallo stesso Geraldo Cambrense. Lo scrittore Christopher L. Hodapp sostiene nel suo libro The Templar Code for Dummies che la Glastonbury Tor sia uno dei possibili luoghi dove si trova il Graal.

Nel XIX secolo, la collina è stata associata alla figura di Gwyn ap Nudd, il sovrano dell’Oltretomba (Annwn) e re del Popolo Fatato.  In questi miti la Glastonbury Tor è rappresentata come la porta d’ingresso di Annwn o alternativamente di Avalon.

Un mito persistente di origine più recente è quello dello Zodiaco di Glastonbury, un presunto zodiaco astrologico di proporzioni gigantesche che sarebbe stato tracciato sulla terra attraverso siepi e antichi sentieri, nel quale la collina forma una parte della figura che rappresenta l’Aquario.La teoria fu formulata per la prima volta nel 1927 da Katharine Maltwood,  un’artista appassionata di occultismo che ipotizzò che lo zodiaco fosse stato costruito approssimativamente 5000 anni prima.

La Glastonbury Tor e i luoghi vicini hanno assunto una particolare importanza anche in alcuni recenti culti della Dea Madre, per i quali la sorgente del Chalice Well rappresenta il flusso mestruale e la collina è vista come un seno o come l’intera figura della Dea. Una processione annuale sale sulla vetta trasportando un’effigie che rappresenta la dea.

Chalice Well

Chalice Well, noto anche come la primavera rossa, è un pozzo adagiato ai piedi del Glastonbury Tor. Un luogo magico, silente e circondato dalla natura più amabile. Incastonato sulla roccia vi è il Sacro Pozzo del Calice. La sorgente naturale e i giardini circostanti sono di proprietà e gestiti dal Chalice Well Trust fondato da Wellesley Tudor Pole nel 1959.

Secondo la leggenda, si ritiene che il Pozzo del Calice sia spuntato da terra nel punto in cui fu collocato il Santo Graal. La leggenda narra che il calide venne collocato nel pozzo da Giuseppe d’Arimatea.

Altre leggende narrano che il pozzo stesso sia stato costruito dai Druidi e che l’acqua che sgorga da esso, di colore rossastro e con sapore di ferro, sia stata dichiarata dotata di poteri magici dallo sconfinato potere vitale.

Si dice che il colore dell’acqua e il gusto, secondo la leggenda, simboleggino i sacri chiodi utilizzati durante la Crocifissione. I visitatori possono ancora bere l’acqua che oggi si ritiene possieda proprietà curative.

Per i pagani e le streghe, le acque sono riconosciute come l’essenza della vita, il dono della Madre Terra per sostenere le sue forme viventi.

Il simbolismo della Vesica Piscis
La Vesica Piscis, o simbolo del pozzo, costituisce un motivo ricorrente. L’associazione del Chalice Garden con questo simbolo, tuttavia, ha un’origine recente e risale al 1919, quando un famoso archeologo di Glastonbury, Frederick Bligh Bond, realizzò un coperchio per il pozzo e ne fece dono al Chalice Well Trust, che gestisce il sito. Bligh Bond lavorava da diversi anni come archeologo interno presso l’abbazia di Glastonbury ed era un esperto di geomanzia e di “energie della terra”. Il significato e la natura duale (maschile/femminile).
Nel motivo che orna il coperchio del pozzo, la Vesica Piscis è attraversata in tutta la sua lunghezza da una freccia, terminante in un cuore. Essa rappresenta metaforicamente la Sacra Lancia, che, trafiggendo il costato di Gesù, che fece scaturire sangue ed acqua, quello stesso sacco e quella stessa acqua dai poteri miracolosi curativi che scaturirono dalla sorgente di Glastonbury dopo l’immersione, in essa, del Santo Graal.

Cos’è la Vescica Piscis?
E’ una figura simbolica che deriva geometricamente dall’intersezione di due cerchi aventi lo stesso raggio ed i cui centri giacciono l’uno sulla circonferenza dell’altro. Il nome latino, che letteralmente significa “vescica di pesce“, deriva dall’osservazione che la forma di questa figura ricorda quella della vescica natatoria dei pesci. Il simbolo era già noto in India, nell’antica Mesopotamia, in Africa e nelle civiltà asiatiche, ma si diffuse ampiamente soprattutto nel contesto cristiano, mediante l’associazione della figura del pesce a Cristo (con la figura dell’ichthys). Successivamente, nelle elaborazioni iconografiche che seguirono, soprattutto negli affreschi e nei codici miniati medievali, la ‘vesica‘ viene associata all’immagine del Cristo e della Vergine in maestà, nell’iconografia nota anche come “mandorla mistica“.
Questa figura ha differenti proprietà geometriche che l’hanno resa oggetto di numerose speculazioni filosofiche ed esoteriche nel corso dei secoli.
Si può innanzitutto osservare che tracciando il tratto orizzontale mediano e unendo i suoi estremi con i due vertici, si vengono a formare al suo interno due triangoli equilateri uguali e contrapposti. In pratica, essi simbolicamente rappresentano il “Doppio Ternario“, attivo e passivo, maschile e femminile, che portati l’uno sull’altro formano un altro ben noto simbolo della Tradizione: l’Esagramma, o Stella di Davide. Un altro simbolo molto diffuso e conosciuto, il Fiore della Vita, può essere visto come l’intersezione di sei ‘vesicae piscis‘. Un notevole esemplare di vesica piscis è stato posto sul coperchio decorativo del pozzo del Graal a Glastonbury, all’interno del Giardino del Calice (Chalice Garden).
Guardando la ‘vesica piscis‘ sotto un altro punto di vista, c’è ancora un altro significato simbolico molto importante, legato ai culti della fertilità. L’ovale, infatti, è anche un simbolo universale del Femminino Sacro, e la forma della vescica richiama anche quella della vulva femminile, il ‘passaggio della nascita’ e l’origine della vita. Questo può essere facilmente visto in alcune figure di Sheela-Na-Gig, che possono essere viste su alcune chiese di origini molto antiche, soprattutto in Irlanda e in Inghilterra, dove la più aperta mentalità protestante ha permesso la loro sopravvivenza, nel chiaro intendimento di ciò che realmente esse rappresentano, e cioè simboli di fertilità. Queste figure femminili, infatti, vengono rappresentate nude e con le gambe allargate, apertamente mostrando i loro genitali simbolicamente molto sproporzionati rispetto alla figura. La vulva della Dea, in questi casi, è spesso rappresentata proprio come una ‘vesica piscis‘.

The White Spring

A meno di 100 metri dal “Pozzo del Calice”, scorre un secondo pozzo collegato in modo univoco, la “Sorgente Bianca”. La primavera bianca è un pozzo ricco di calcio ed energia che scorre ai piedi del Glastonbury Tor.

Quindi abbiamo due sorgenti: una ha un sapore dolce, rinfrescante lasciando dietro di sé un delicato mantello bianco. L’altro, dal sapore metallico del sangue e dai toni del rosso.

A differenza di Chalice Wells questa primavera non è stata protetta. Al momento è nelle mani degli appassionati che cercano di far risorgere il pozzo in un “tempio”.

La White Spring si trova alla base di Glastonbury Tor, a pochi metri dalla West House Lane dal suo incrocio con la strada A361, adiacente al Chalice Well. Anche l’inizio della salita fino a Glastonbury Tor è a questo incrocio.

Le Nebbie di Avalon di
M.Zimmer Bradley

Ai miei tempi sono stata chiamata in molti modi: sorella, amante, sacerdotessa, maga, regina. Ora, in verità sono una maga e forse verrà un giorno in cui queste cose dovranno essere conosciute. Ma credo che saranno i cristiani a narrare l’ultima storia. Il mondo della Magia si allontana sempre di più dal mondo dove regna il Cristo. Non ho nulla contro lui, ma solo contro i suoi preti che negano il potere della Grande Dea oppure l’avvolgono nella veste azzurra della Signora di Nazareth e affermano che era vergine. Ma che cosa puo’ sapere una vergine delle sofferenze dell’umanità? E ora che il mondo è cambiato e Artù, mio fratello e amante, che fu re e che sarà re, giace morto (e la gente comune lo dice addormentato) nell’Isola Sacra di Avalon, la storia dev’essere narrata com’era prima che i preti del Cristo Bianco venissero a costellarla di santi e leggende.
Il mondo è mutato. Un tempo un viaggiatore se aveva la volontà e conosceva qualche segreto, poteva avventurarsi con la barca nel Mare dell’Estate e giungere non già a Glastonbury dei monaci, ma all’Isola Sacra di Avalon; allora le porte tra i mondi fluttuavano con la nebbia e si aprivano al volere del viaggiatore. Perché questo è il grande segreto, noto a tutti gli uomini colti del nostro tempo: con il nostro pensiero, noi creiamo giorno per giorno il mondo che ci circonda.
Ora i preti, pensando che questo usurpi la potenza del loro Dio, hanno chiuso le porte (che non furono mai porte se non nelle menti degli uomini) e il percorso conduce soltanto alla loro Isola. E affermano che quel mondo se esiste, è il dominio di Satana, la porta dell’Inferno…


(Le nebbie di Avalon, Marion Zimmer Bradley, Prologo.)

Vi fu un’epoca in cui le porte tra i mondi fluttuavano con le nebbie e si aprivano al volere del viaggiatore. Di là dal regno del reale si schiudevano allora luoghi segreti e incantati, siti arcani che sfuggivano alle leggi di Natura e si sottraevano al dominio del Tempo, territori favolosi dove le più strane e ammalianti creature parlavano lingue oggi sconosciute, avevano gesti, modi e riti oggi indecifrabili; dove nessuna cosa era identica a se stessa, ma poteva mutarsi ogni istante in un’altra. Con l’andar del tempo, però, “reale” e “immaginario” entrarono in netto contrasto. Allora come oggi, furono le donne a fare da mediatrici. Morgana, Igraine, Viviana conoscevano il modo per far schiudere le nebbie e penetrare nel magico regno di Avalon.

Le nebbie di Avalon è un romanzo che tratta degli intrecci storico-fantastici legati alla figura di re Artù, protagonista del ciclo arturiano, il leggendario re che, con la sua Tavola rotonda, riportò la pace in Britannia e vi regnò per lungo tempo. La storia è narrata dal punto di vista di personaggi femminili: Igraine, Morgana, Viviana, Morgause, Ginevra. Nel libro è anche molto marcata la discussione tra la tradizione religiosa dell’epoca, pagana e politeista (che riconosceva un ruolo alla Dea Madre), e le prime avvisaglie del Cristianesimo con le relative contrapposizioni tra i protagonisti, ma anche le loro interconnessioni, come ricorda in un suo saggio la stessa Zimmer Bradley.

(EN)«I think it’s overwhelmingly important to remember that it is not an attempt to supplant “God,” presumably the “real God” fundamentalists talk about, with “a lot of pagan Goddesses and idols.” What we are seeking is the female aspect of Divinity itself; Goddess as an extra dimension of God, rather than “replacing God with Goddess.” The Divine is.»(IT)«Penso che sia estremamente importante ricordare che non è un tentativo di soppiantare “Dio”, presumibilmente il “vero Dio” di cui parlano i fondamentalisti, con “molte Dee e idoli pagani”. Ciò che stiamo cercando è l’aspetto femminile della Divinità stessa; Dea come una dimensione extra di Dio, piuttosto che “sostituire Dio con la Dea”. Il Divino è.»
(Marion Zimmer Bradley, Thoughts on Avalon, 1986)
(EN)«I would also like to say that I do feel, very strongly, that Glastonbury is a sacred place. On the grounds of the Abbey there’s a stone commemorating that this has been a place or worship “since there were Christians in England” or something of that sort. I believe the sacredness of the site is far older than that; I can feel it. As Dion Fortune said in one of her books, places where mankind has been in the habit of reaching out toward the Divine make a kind of track, making it easy to go in that direction. I think the neo-pagan movement offers a very viable alternative for people, especially for women, who have been turned off by the abuses of Judeo-Christian organized religions. I speak, of course, of patriarchal attitudes, hatred of women, the pervasive and insidious attitude that mankind was made to dominate nature rather than the other way round, which is leading us, via hubris, to destroy our very planetary environment in a mass of pollution and misused technology.»(IT)«Vorrei anche dire che sento, fortemente, che Glastonbury è un luogo sacro. Sul terreno dell’Abbazia c’è una pietra che ricorda che questo è stato un luogo o un culto “sin da quando c’erano i cristiani in Inghilterra” o qualcosa del genere. Credo che la sacralità del sito sia molto più antica di così; lo sento. Come diceva Dion Fortune in uno dei suoi libri, i luoghi in cui l’umanità ha l’abitudine di protendersi verso il Divino creano una sorta di traccia, rendendo facile andare in quella direzione. Penso che il movimento neopagano offra un’alternativa molto valida per le persone, specialmente per le donne, che sono state respinte dagli abusi delle religioni organizzate giudeo-cristiane. Parlo, naturalmente, di atteggiamenti patriarcali, di odio nei confronti delle donne, dell’atteggiamento pervasivo e insidioso secondo cui l’umanità è stata costretta a dominare la natura piuttosto che il contrario, il che ci sta portando tutti, via hubris, a distruggere il nostro stesso ambiente planetario in una massa di inquinamento e tecnologia abusata.»
(Marion Zimmer Bradley, Thoughts on Avalon, 1986)

“Morgana guardò la statua di Brigida e sentì il potere che se ne irradiava. Ma Brigida non è una santa cristiana, anche se Patrizio lo crede. È la Dea così come viene chiamata in Irlanda. E io lo so: queste donne riconoscono il potere dell’Immortale. Anche se esule, Lei prevarrà. La Dea non abbandonerà mai gli uomini”.


dal libro “Le nebbie di Avalon” di Marion Zimmer Bradley

Un libro meraviglioso che permette di esplorare punti di vista, emozioni, luoghi e misteri affascinanti. IlCiclo di Avalon è una serie di romanzi che riprendono la tradizione del ciclo arturiano.

La serie di Avalon è ambientata nella Britannia minore, comprende otto romanzi. Il primo (in ordine cronologico di scrittura, ma ultimo in ordine di lettura all’interno della serie), Le nebbie di Avalon, venne scritto da Marion Zimmer Bradley e pubblicato nel gennaio 1983. Il volume le impiegò molti anni di ricerca e di stesura e successivamente, alla sua pubblicazione, raggiunse i vertici di tutte le classifiche fra cui quella prestigiosa del New York Times, dove rimase a capo della lista dei best seller.

I successivi tre volumi della serie furono scritti a distanza di un decennio dall’autrice insieme a Diana L. Paxson: Le querce di Albion, La signora di Avalon e La sacerdotessa di Avalon.

La Paxson in seguito continuò la serie da sola con altri tre titoli, il volume L’alba di Avalon (Ancestors of Avalon, 2005), scritto in base a degli appunti lasciati da Marion Zimmer Bradley prima di morire. Seguì nel 2007 La dea della guerra, scritto anch’esso in base a degli appunti lasciati da Marion Zimmer Bradley e relativo agli eventi narrati precedentemente Le querce di Albion, e La spada di Avalon (sempre sulla base di appunti lasciati da Marion Zimmer Bradley. Prequel di tutta la serie viene generalmente riconosciuto il romanzo Le luci di Atlantide del 1987.

La versione narrata nella serie dell’isola leggendaria di Avalon è però notevolmente diversa dalle altre raffigurazioni, anche se attinge e amplia le leggende precedenti. Come in Geoffrey di Monmouth, Avalon è governata da un ordine di donne, identificate esplicitamente dalla Zimmer Bradley con la religione bretone precristiana.

Attingendo da leggende che associano Avalon alla città di Glastonbury nel Somerset, in Inghilterra, Bradley costruisce il suo Avalon come un universo parallelo a Glastonbury, coesistente nella stessa area ma accessibile solo evocando una nebbia magica.

La signora di Avalon, la Dama del Lago, è identificata invece come una Sacerdotessa della Grande Dea Madre. Poiché nella leggenda vengono assegnati più nomi a questo personaggio, “Dama del Lago” per la Zimmer Bradley diviene un titolo onorifico passato da una generazione all’altra a tutte le signore del lago arturiane (Viviane, Niniane, Nimue, ecc.) Un approccio simile viene usato anche per il personaggio di Merlino, qui il “Merlino di Britannia” identificato come una sorta di Arcidruido.

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Le Nebbie di Avalon
(miniserie televisiva 2001)

Figura centrale della religione di Avalon è la Dea Madre, un nome che la Zimmer Bradley associa a diverse divinità celtiche. L’autrice è stata influenzata dalle tradizioni del neopaganesimo che associano divinità pagane e sottolineano una struttura religiosa matriarcale.

I romanzi sono collegati fra loro anche tramite un’ulteriore implicazione mistica ed esoterica, cioè che diversi personaggi principali, fra cui anche Morgana, Viviana, Artù, Lancillotto, sono reincarnazioni delle stesse anime, generazione dopo generazione, dai tempi della antica isola sommersa di Atlantide.

“Se il peccato è il prezzo del legame tra noi, vita dopo vita, allora peccherò con gioia per ritornare sempre a te, mia amata!”


dal libro “Le nebbie di Avalon” di Marion Zimmer Bradley

La Fata Morgana

Etimologia e origini

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Orlando che insegue la Fata Morgana 1846/48 circa  – George Frederick Watts

La prima ortografia del nome (che si trova in Goffredo di Monmouth s’ Vita Merlini , c scritta. 1150) è Morgen , che è probabilmente derivato dall’antico gallese o dall’antico bretone Morgen , che significa ‘mare-nati’. L’epiteto di “Fata” (donatogli nel 15 ° secolo da Thomas Malory). La figura di Morgana sembra essere un residuo delle divinità femminee della mitologia celtica. Il nome Morgana potrebbe essere collegato ai miti di Morgens, la fata dei gallesi e dei bretoni (spiriti dell’acqua). Mentre in molte leggende successive Morgana diventa umana mantenendo il dono della magia, avvicinandosi ad una creatura divina.

In diversi testi e leggende è spesso definita come Somma Regina delle fate o una dea (dea , Déesse , gotinne ).

Nella descrizione di “Vita Merlini” di Geoffrey, “Morgana e le sue sorelle” ricordano la storia delle sacerdotesse dell’isola di Sena (ora Île de Sein) chiamato Gallisenae (o Gallizenae ), come descritto dal geografo Pomponio Mela durante il 1° secolo. Ulteriore ispirazione per il personaggio proveniva da folklore gallese e letteratura irlandese medievale. Morgana riprende le caratteristiche della dea Morrigan (Grande Regina- “Furia guerriera” dei miti irlandesi ).

Dea Mórrígan
La dea Mórrígan fa parte dei Túatha Dé Danann, ed è figlia di Fiacha mac Delbaíth e di Ernmas e sorella di Badb e Macha.
Viene descritta come una mutaforma, che ama assumere in particolar modo la forma di corvo o cornacchia (in particolare la cornacchia grigia), sorvolando i campi di battaglia e divorando i cadaveri o apparendo come una vecchia megera che chiama i guerrieri alla morte[. Si presenta inoltre anche come un’anguilla, una mucca bianca dalle orecchie rosse, un lupo grigio-rosso o una donna o gigantessa che lava i panni insanguinati vicino ai campi di battaglia, oltre ad essere in grado di invecchiare o ringiovanire a piacimento. La sua caratteristica di mutaforma la avvicina alla figura del druido come bardo-stregone, un ruolo che ella stessa assume in alcune storie, intonando canzoni per portare vittoria, praticando la divinazione e prevedendo il futuro.
È legata alla fertilità e alla sessualità, e alcune storie le attribuiscono un appetito sessuale insaziabile; ella sedurrebbe i soldati prima della battaglia, e condurrebbe i suoi amanti alla vittoria.

Etimologia: Mórrígan risale ad un antico nome irlandese, Mór Ríoghain, che si traduce letteralmente come “Grande Regina” (da mór, “grande”, e rígan, “regina”); tale significato è lo stesso del nome dell’antica dea indoeuropea Rigantona, a cui il nome della Mórrígan viene talvolta ricondotto]. Alternativamente, il primo elemento di Mór Ríoghain può anche essere identificato con il germanico mahr (“incubo”, la stessa radice di nightmare), con il significato di “Regina dei Fantasmi“.

Morgana inoltre è stata anche collegata con la madre sovrannaturale Modron. Modron appare nelle Triadi Gallesi in cui i figli di Urien vengono chiamati Owain mab Urien (figlio) e Morfydd (figlia). Una versione romanzata vede il re Urien il marito e consorte di Fata Morgana mentre loro figlio prendeva il nome di Ywain. Modron è anche chiamata “figlia di afallach”, noto anche come Avallach o Avalloc, il cui nome può anche essere interpretato come un sostantivo che significa “luogo di mele“; nel racconto di Owain e Morfydd del concepimento nel Peniarth 147, Modron è chiamata la “figlia del re di Annwn “, un Otherworld celtica . Questo evoca Avalon , la meravigliosa “isola delle mele” con cui Morgan Le Fay è stato associata. Molto probabilmente l’immagine di Morgana è stata influenza da elementi della mitologia classica come fattucchiere o divinità. Circe e Medea diventano inaspettatamente affini alle donne “fatate” della mitologia irlandese, come la madre dell’eroe Fráech o la donna divina Niamh (compreso il motivo della mela in relazione a Avalon-come isola di Tir na Nog), e la figura storica contemporanea della imperatrice Matilde.

Dea Modron
Nella mitologia gallese, Modron (“madre divina”) è una figlia di Avalloc, la cui figura deriva dalla dea gallica Dea Matrona. Potrebbe essere stata il prototipo per Morgana la Fata delle leggende arturiane. Era la madre di Mabon, che fu rapito quando aveva appena tre giorni e fu in seguito liberato e riportato alla madre da Re Artù.
Nelle Triadi gallesi, Modron viene messa incinta da Urien e dà alla luce Owain e Morvydd.
In Gallia era il nume tutelare della Marna, mentre in Britannia sembra avere avuto successive connessioni con Mórrígan. E come una delle più potenti archetipi celtici della madre degli dei. È anche una dea della fertilità e della raccolta e spesso viene equiparata alla greca Demetra o all’irlandese Danu.

Secondo Gerald of Wales , una nobildonna e parente stretto di Re Artù di nome Morganis condusse re Artù sull’isola di Avalon (identificato come Glastonbury ), dove è stato infine sepolto. Scrivendo intorno 1216 in De principis instructione, Gerald ha affermato che “as a result, the fanciful Britons and their bards invented the legend that some kind of a fantastic goddess (dea quaedam phantastica) had removed Arthur’s body to the Isle of Avalon, so that she might cure his wounds there” al fine di donare la speranza al popolo poichè, re Artù, come un messia amato, si sarebbe risvegliato dal lungo sonno, per salvare nuovamente il suo regno in un momento di oscurità.

In passato Morgana è stata notevolmente citata da moltissimi autori sconosciuti (forse membri della cistercense ordine religioso, il che spiegherebbe la loro demonizzazione di motivi pagani e la paura della sessualità) del 13 ° secolo. L’esistenza di Morgana nel mondo arturiano si presenta sinistra e aggressiva, più di quanto era stato presentato da Geoffrey o Chrétien, e inevitabilmente subisce una serie di trasformazioni diventando una contro-eroina. Nell’immaginario comune è diventata una maga crudele. In alcune delle opere successive, anela a conquistare il trono di Artù con la sua magia, seducendo anche gli uomini intorno al re con abilità. Le arti magiche di Morgana corrispondono a pari merito con quelle di Merlin e della Signora del Lago.

Morgana nel Medioevo viene ritratta in svariati ruoli, ruoli relativi ai cicli di Arthur (la Materia della Gran Bretagna) o Carlo Magno (la Materia di Francia). Essi spesso dispongono di Morgana come un amante e benefattrice dei vari eroi, a volte anche introducendo la sua prole o alternativi fratelli, o collegandola con la figura della Signora del Lago. Il manoscritto italiano del 15 ° secolo La Tavola Ritonda (La Tavola Rotonda), per esempio, rende Morgan una sorella della Signora del Lago, così come per Artù; esso si basa sui romanzi francesi ma qui Morgan è una figura profetica il cui ruolo principale è quello di garantire l’adempimento degli destino.

Il romanzo di Arthour e Merlin , scritto intorno al 1270, mostra una Morgana malvagia nel ruolo della Signora del Lago e le dà un fratello di nome Morganor come un figlio illegittimo del re Urien; il suo castello meraviglioso Palaus è costruito principalmente di cristallo e vetro. Nel Vecchio anonimo francese Li Romani de Claris et Laris meglio conosciuto semplicemente come Claris e Laris (anche c. 1270), Morgane la Faye è un essere soprannaturale, un ex sorella di Artù, nonché una ex allieva della Signora del Lago, Viviane (Viviana). Morgana vive in uno splendido castello incantato nel deserto (identificato come Brocéliande in un manoscritto in seguito) con dodici altre signore tra cui la Maga Madoine. In quel luogo affascina centinaia di giovani e attraenti cavalieri imprigionandoli per sempre fra le sue mura impenetrabili (la Sibilla dei Monti Sibillini, nelle Marche, presenta la stessa leggenda. interessante non credete?)

Ci sono centinaia di leggende che trattano la figura di Morgana come fanciulla, anziana, strega, fata, dea e sacerdotessa di Avalon e numerosi testi. Ve ne citerò qualcuno ma non vorrei annoiarvi troppo!

Vi sono numerosi testi che trattano i miei artutiani con la presenza di Morgana come: “la storia d’amore italiana del 14 ° secolo dal titolo La Pulzella Gaia ( The Merry Fanciulla)”, Nel suo 14 ° secolo catalano poesia La Faula , Guillem de Torroella sostiene di aver visitato l’incantata isola e ha incontrato Arthur che è stato riportato in vita dal Fay Morgan ( Morgan la feya , Morguan la FEA ) ed entrambi sono ora sempre giovani a causa del potere del Santo Graal . Nel romanzo spagnolo del 15 ° secolo Tirant lo Blanch , la nobile Regina Morgan cerca il mondo per il fratello scomparso e lo trova come un prigioniero trance a Costantinopoli; Sir Gawain e il Cavaliere Verde, durante il Rinascimento italiano, Morgana è stata descritta soprattutto in relazione al ciclo di poemi epici di Orlando (sulla base di Roland dello storico Carlo Magno). In Matteo Maria Boiardo (tardo 15 ° secolo) Orlando Innamorato, la Fata Morgana (inizialmente come lady Fortune) è bella ma anche una crudele ammaliatrice e fata, sorella di re Artù e allieva di Merlino. 

Nell’ Orlando Furioso di Ludovico Ariosto (1532), Morgana (anche identificato come Morgan Le Fay) si rivela come una sorella gemella di altri due maghe, il bene ed il male di Logistilla Alcina. Bernardo Tasso s’ L’Amadigi (1560) introduce ulteriori tre figlie a Morgana : Carvilia, Morganetta, e Nivetta, tentatrici di cavalieri. Altre apparizioni 16 ° secolo di Morgan includono questi di Morgue La Fée in François Rabelais Les Grandes Chroniques du grand et énorme Géant Gargantua et il publie Pantagruel (1532). In Edmund Spenser poema epico ‘s The Faerie Queene (1590).

Ricapitolando

In tutte le versioni del mito, Morgana è una potente maga (da qui il soprannome “fata”, che la mette in relazione con il popolo semidivino degli Sidhe della mitologia celtica). (Come trattato sopra) Probabilmente il personaggio è stato ispirato dalla dea celtica Modron oppure da Mórrígan, dalla quale potrebbe aver pure tratto il suo nome. È in testi più tardi, come il ciclo del Lancillotto in prosa del XIII sec., che il personaggio sviluppò un carattere più complesso e ambivalente, trasformandolo in un pericoloso antagonista di Re Artù.

Geoffrey di Monmouth, nel suo Vita Merlini del XII sec., e Giraldo del Galles (1146-1223) collegano Morgana con la mitica Isola delle Mele (Avalon), ove riposava re Artù, dopo essere stato ferito a morte nella battaglia di Camlann. Morgana, secondo Monmouth, era una di nove sorelle (Moronoe, Mazoe, Gliten, Glitonea, Gliton, Tyronoe, Thiten, Thiton e lei stessa, tutte potenti maghe e guaritrici), che regnavano su quell’isola e ne facevano parte.

Nella tradizione del ciclo arturiano, Morgana è la maggiore di tre sorelle (le altre due sono Elaine e Morgause), figlie del duca Gorlois di Cornovaglia e di sua moglie Igraine. Igraine ebbe però anche un figlio illegittimo dal re britanno Uther Pendragon, il quale venne affidato al mago Merlino e sarebbe poi diventato re Artù. Anche Morgana imparò le arti magiche da Merlino, ma fu sempre gelosa della gloria del fratellastro Artù e di sua moglie Ginevra e si adoperò per distruggerli. A Morgana viene comunemente ascritto un ruolo di primo piano nel complotto capeggiato da Sir Mordred, cavaliere della Tavola Rotonda, che tentò di sottrarre a re Artù la corona di Britannia e la regina, provocando la fine del suo regno.

Secondo alcune delle più recenti e conosciute versioni del mito (ad esempio il romanzo Le nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley e il film Excalibur di John Boorman), Morgana è la madre di ser Mordred, avuto da un rapporto con l’ignaro fratellastro Artù. Nelle versioni anteriori comunque la madre di Mordred si chiamava Morgause (o Anna) ed era sorella di Morgana. La somiglianza fra i loro nomi ha però provocato spesso confusione, ed è anche stato suggerito che “Morgause” potrebbe essere una forma corrotta di “Morgan”, e che quindi i due personaggi originariamente fossero uno solo.

Altre versioni del mito

La leggenda della Fata Morgana è ampiamente diffusa anche in tutta l’area dello Stretto di Messina: durante le invasioni barbariche alto medioevali, in agosto, un re barbaro giunto a Reggio Calabria vide all’orizzonte la Sicilia e si domandò come raggiungerla, quando una donna molto bella (appunto la Fata Morgana) fece apparire l’isola a due passi dal re conquistatore. Costui allora si gettò in acqua, convinto di potervi arrivare con un paio di bracciate, ma l’incanto si ruppe e lui morì affogato.

Un’altra versione narra che nel 1060 Fata Morgana si propose di aiutare il condottiero normanno Ruggero d’Altavilla per liberare la Sicilia dalla dominazione Musulmana: Ruggero la vede salire su un carro bianco e azzurro misteriosamente apparso, tirato da sette cavalli bianchi con le criniere azzurre.

Il mito ha inoltre ispirato il noto testo dell’Olandese volante, che secondo la leggenda evoca la storia di una nave fantasma che non può mai ritornare a casa e per questo è destinata a solcare i mari per sempre. L’Olandese volante è di solito descritto attorniato da una luce spettrale, quella del noto miraggio della Fata Morgana.

“Giaceva con i capelli incrostati di sangue, il mio Gwydion, il mio amante… e ai suoi piedi giaceva morto l’altro Gwydion, mio figlio, il figlio che non avevo mai conosciuto. Mi chinai e gli coprii il viso con il mio velo. Era la fine di un’era. In passato, il cervo giovane aveva abbattuto il Re Cervo ed era diventato Re Cervo al suo posto; ma i cervi erano stati sterminati, e il Re aveva ucciso il cervo giovane, e dopo di lui non vi sarebbe stato nessuno…
E anche il Re Cervo doveva morire.
M’inginocchiai al suo fianco. «La spada, Artù. Excalibur. Stringila e lanciala lontano nelle acque del Lago.»
I Sacri Simboli avevano abbandonato per sempre il mondo, e l’ultimo, la spada Excalibur, doveva andare con gli altri. Ma Artù la tenne stretta e mormorò «No… Dev’essere conservata per quelli che verranno dopo di me…» Guardò Lancillotto. «Prendila, Galahad… non senti le trombe di Camelot che chiamano la legione di Artù? Prendila… per i Compagni.»
«No», gli dissi a voce bassa. «Quel tempo è passato. Dopo di te, nessuno potrà pretendere la spada di Artù.» Gli staccai dolcemente le dita dall’impugnatura. «Prendila, Lancillotto», dissi, «ma lanciala nelle acque del Lago. Lascia che le nebbie di Avalon l’inghiottano per sempre.»
Lancillotto mi obbedì in silenzio. Non so se mi vedeva, non so chi pensava che fossi. Strinsi al petto Artù. La vita lo abbandonava in fretta. Lo sapevo, ma non potevo piangere.
«Morgana», mormorò. «Morgana, allora è stato tutto vano, ciò che abbiamo fatto, ciò che abbiamo tentato di fare? Perché abbiamo fallito?»
Non sapevo cosa rispondere; eppure una risposta salì alle mie labbra.
«Non hai fallito fratello mio, mio amore, bambino mio. Hai dato molti anni di pace a questa terra, hai tenuto lontano le tenebre per un’intera generazione. Non hai fallito, amor mio. Nessuno di noi sa come la Dea compirà il suo volere… ma lo compirà.»

dal libro “Le nebbie di Avalon” di Marion Zimmer Bradley

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