La morte

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LA MORTE

Il 14 giugno partorì una bambina, battezzata Isabella Maria, ma la duchessa si ammalò di febbri puerperali e, per alleggerirle il tormento, le furono tagliati i capelli. Il 22 giugno dettò una lettera per richiedere un’indulgenza plenaria al Papa. Infine firmò davanti al marito il suo testamento.

Prima di cadere in coma affermò: «Sono di Dio per sempre».

Lucrezia Borgia morì il 24 giugno 1519 a trentanove anni. Lasciando la famiglia e la città in un profondo lutto, venne sepolta nel monastero del Corpus Domini, con indosso l’abito da terziaria francescana.

JOHANNES BURCKARDT

(Niederhaslach, fra il 1445 e il 1450 – Roma, 16 maggio 1506), è stato un vescovo cattolico tedesco, protonotario pontificio e maestro di cerimonie. Viene ricordato per il suo Liber notarum, che costituisce un’importante fonte storica sulla vita alla corte dei papi del rinascimento.

Personaggio importante per avere notizie della vita privata di Lucrezia a Roma è Johannes Burckardt. Nel suo diario detto Liber Notarum egli descrive con precisione e ricchezza di particolari i cerimoniali e le etichette della corte papale e non manca di annotare alcune scene ed eventi tutt’altro che lusinghieri per i Borgia e per la stessa Lucrezia. Benché la mentalità puritana avrebbe potuto in parte fargli travisare il senso delle azioni dei Borgia, gli storici lo ritengono generalmente una fonte oggettiva di informazioni riguardo alla corte papale. Nel suo diario egli infatti non fa mai pettegolezzi o scaglia accuse contro i Borgia, ma si limita a descrivere minuziosamente i fatti, talvolta scabrosi, spesso confermati da altri cronisti suoi contemporanei. Se Burcardo avesse voluto infarcire il proprio diario di testimonianze contro i Borgia avrebbe potuto farlo facilmente, invece egli cita appena Giulia Farnese, Vannozza o l’annullamento del matrimonio tra Lucrezia e Giovanni Sforza, scandali che facevano un gran parlare di sé nei palazzi romani e che avrebbero potuto essere facilmente manipolati. Per questo non sembra esserci motivo di dubitare delle veridicità di due episodi scabrosi riferiti dal cerimoniere, entrambi accaduti durante il periodo di trattative per il terzo matrimonio di Lucrezia.

  • Il primo episodio è la “cena delle cortigiane“, festa dal risvolto orgiastico ideata da Cesare, la sera del 31 ottobre 1501. Secondo il fiorentino Francesco Pepi, «il duca di Valentino […] aveva fatto venire in palazzo cinquanta cortigiane “cantoniere” e tutta la notte stettero in voglia di balli e riso»: dopo una cena veloce, le cortigiane erano entrate ed avevano iniziato a ballare con servitori e giovani di casa, «primo in vestibus suis deinde nude»; a notte fonda Cesare fece mettere in terra i candelabri accesi e le donne nude a carponi dovevano fare a gara per raccogliere le castagne lanciate loro, incitate dal Papa, Cesare e «domina Lucretia sorore sua» scrive Burcardo.
  •  Il secondo episodio narrato dal cerimoniere avvenne l’11 novembre 1501, quando da una finestra, Alessandro VI e Lucrezia assistettero «cum magno risu et delectatione» ad una selvaggia scena di monta fra quattro stalloni e due giumente. Il Burcardo riferisce unicamente di questi due episodi isolati con la partecipazione di Lucrezia, e se ne fossero avvenuti altri con tutta probabilità egli li avrebbe annotati nel suo diario. Per questo motivo, e dal momento che le due scene avvennero poco prima della partenza di Lucrezia per Ferrara, Maria Bellonci suppone che si trattasse di «spettacoli di iniziazione matrimoniale che non avrebbero offeso una donna già sposata due volte».

La lettura di questi due episodi ha «suscitato per secoli scandalo e orrore nei commentatori puritani o ipocriti, mentre gli esaltatori di Lucrezia non vogliono credere che ella potesse partecipare a una tale sorta di baccanale» scrive Geneviève Chastenet, biografa francese di Lucrezia, concludendo: «Ma ciò significherebbe dimenticare che si tratta di svaghi perfettamente consoni al costume rinascimentale». Molti storici hanno infine cercato di ridimensionare le accuse di perversione rivolte contro di lei durante il periodo passato nella Roma dominata dai Borgia. «Per propria esperienza, [Lucrezia] poteva già sapere che abominevole mondo fosse quello, nel quale viveva. […] Sbagliano però quei che credono, ch’essa o altri a lei simili, lo vedessero e giudicassero così come lo facciamo noi oggi o forse fecero alcuni pochi, animati allora da sentimento più puro. […] S’aggiunga per di più, che in quel tempo i concetti della religione, della decenza e della moralità non erano gli stessi che oggi prevalgono» dice Ferdinand Gregorovius. La tesi dello storico tedesco è ripresa poi, ad esempio, anche da Roberto Gervaso nel suo saggio sulla famiglia Borgia: «Se non fu una santa non fu nemmeno un mostro. Se non si fosse chiamata Borgia, non avrebbe avuto bisogno né d’avvocati difensori, né di postume e tardive riabilitazioni».

IL VELENO DEI BORGIA

Altra accusa riguardante Lucrezia, e in generale la sua famiglia, è l’uso di un veleno micidiale, chiamato cantarella, con la quale i Borgia avrebbero eliminato i propri nemici, versandolo nelle bevande o sul cibo. Lucrezia venne associata all’uso di questo veleno borgiano, divenendo una delle più famose avvelenatrici, dopo la messa in scena della tragedia romantica di Victor Hugo: «Un veleno terribile – dice Lucrezia – un veleno la cui sola idea fa impallidire ogni italiano che sa la storia degli ultimi vent’anni […] . Nessuno al mondo conosce un antidoto a questa composizione terribile, nessuno, ad eccezione del papa, del Signor Valentino e di me». Tuttavia i chimici e i tossicologi odierni sono convinti che la cantarella, veleno capace di uccidere in tempi precisi, sia solo una leggenda legata alla famiglia Borgia.

LA CANTARELLA:

La cantarella è una variante dell’arsenico, molto efficace e difficile da rintracciare. Questo veleno è ottenuto cospargendo l’arsenico nelle viscere ancora calde dei suini e poi facendole essiccare e successivamente macinare. Poteva essere ottenuta anche dall’urina di giovani fatta depositare ed evaporare in un catino di rame, cui si aggiungeva l’ arsenico fino a creare una polverina del colore e della consistenza della farina. Si presenta come una polvere bianca innocua solo all’apparenza. È un veleno molto tossico che provoca la morte, tra atroci tormenti, in 24 ore. Alcuni sostengono che derivi dalla famiglia della cantaridina (afrodisiaco usato dai maschi Borgia) che, se preso in quantità eccessive può avere effetti mortali.

Lo stesso veleno veniva utilizzato dal marchese de Sade, per la copertura dei confetti all’anice offerti alle sue ignare amanti. Una di queste fu Marguerite Coste la quale ingurgitò diversi confetti che mandarono in visibilio il “divin marchese”, ma la donna, a un certo punto, fu preda di violenti spasmi gastrici, irrefrenabili palpitazioni cardiache, bruciori laringei e conati di vomito in seguito ai quali rigurgitò una poltiglia nerastra. De Sade fu condannato a morte dal Tribunale di Marsiglia per sodomia e avvelenamento, pena poi commutata in arresto. I sintomi accusati dalla prostituta francese di de Sade erano gli stessi che caratterizzarono le vittime del veleno borgiano

 Concludo con una delle frasi più belle di Maria Bellonci:

“Da queste nozze bianche [con Giovanni Sforza] che solo una ragione politica aveva precipitate, comincia l’esistenza oscillante di Lucrezia quale era imposta a lei dalle circostanze e dalle ambizioni dei suoi familiari, ma quale ella accettava e sarebbe andata sempre meglio accettando. Non nella sua debolezza, ma nella fatalità intima dei suoi assensi ognuno dei quali è una capitolazione, sta il vero dramma di Lucrezia: e, a questo lume, il suo modo di non voler conoscere e non di non voler sapere quello che le accade dintorno appare una difesa femminile, nata dall’istinto, misera, ma patetica e coraggiosa. Innalzarsi tanto da giudicare il padre e il fratello non lo potrà mai, meno per incapacità di giudizio o per tenerezza di cuore, che per una verità più violenta ed elementare: perché anche lei è una Borgia, e sente anche lei la forza di quel sangue che le fa impeto e che si dà ragione da sé, fuori da ogni morale, brutalmente e splendidamente. Solo in tempi più tardi, dal disordine della sua anima che sta fra la religione e la sensualità, fra la volontà di una vita disciplinata e l’ardente anarchia dei desideri, saprà levarsi e intraprendere contro il padre, contro il fratello o contro il suocero duca di Ferrara quelle sue ribellioni che la condurranno, sola fra i Borgia, a salvarsi.”


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